Il punto non è che Hosni è italiano, ma che fosse ancora a piede libero

Di Alfredo Mantovano
29 Maggio 2017
Se al maggior impegno nel contrasto al terrorismo, la criminalità mafiosa e la corruzione corrisponde un minore utilizzo di tempo e di risorse, è inevitabile che i colpevoli di questi reati vivano tranquilli e creino problemi

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Si è iniziato a parlare di “sindrome francese”. La vicenda di Tommaso Youssef Hosni Ismail, il ventenne che venerdì della scorsa settimana ha accoltellato due soldati e un agente della Polfer alla stazione Centrale di Milano, ha fatto evocare scenari da banlieue: giovani che vivono in miseria e da emarginati, fino a quando non vengono attratti nella rete del terrorismo. Con la malcelata soddisfazione di più d’una testata giornalistica: non solo perché finalmente l’Italia si avvicina agli standard di civiltà della Francia, ma pure perché, nonostante di origine tunisina, Hosni Ismail è cittadino italiano, e quindi smettiamola con le tiritere su immigrazione e criminalità.

[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Non sono in grado di seguire ragionamenti così profondi. Mi permetto di proporre un approccio differente. Ci viene comunicato:
a) che Hosni Ismail era stato arrestato per spaccio di stupefacenti a dicembre all’interno della stessa stazione Centrale di Milano; perché invece che essere processato e scontare la pena è stato rimesso in libertà quasi subito, e libero è rimasto fino al tentato omicidio dei militari? (non accade soltanto a lui);

b) che viveva in un furgone bianco non suo, adibito ad alloggio, che dal 2014 ha collezionato 357 multe per violazione della ztl; che spesso scassinava autovetture per dormirci dentro; che era solito compiere atti osceni in luogo pubblico. Poiché nel nostro ordinamento esistono le misure di prevenzione, che si applicano a soggetti i quali manifestano pericolosità sociale con la costante violazione delle leggi, perché non si è pensato a queste nei suoi confronti?

c) che al momento dell’aggressione ai militari era strafatto di cocaina: povero ma non al punto da non trovarsi in giri di spaccio al dettaglio, i quali – grazie anche alle modifiche legislative di tre anni fa – godono di una impunità di fatto.

Le nostre forze di polizia hanno una professionalità indiscussa, che finora ha avuto modo di svilupparsi sul fronte della prevenzione, in settori individuati come strategici quali il terrorismo e la criminalità di tipo mafioso. Per una serie di ragioni sulle quali sarebbe interessante tornare, e che riguardano in primis la magistratura, si è affermata una progressiva desuetudine per indagini su reati la cui repressione non viene ritenuta prioritaria. Se però al maggior impegno nel contrasto verso il terrorismo, la criminalità mafiosa e la corruzione corrisponde un minore utilizzo di tempo e di risorse nella repressione di furti, rapine ed estorsioni, è inevitabile che i colpevoli di questi reati vivano tranquilli e creino problemi.

Ricordate un certo Anis Amri?
Lasciare ai margini il contrasto della criminalità ordinaria non fa male solo al livello standard di sicurezza e alla percezione di quest’ultima. Ha ricadute sulla credibilità del sistema e fa trascurare che il profilo dei terroristi che emerge più di recente è quello di soggetti che esordiscono col crimine che non viene perseguito (furti e piccolo spaccio di droga), e da quest’area di impunità di fatto vengono reclutati per il salto di qualità. Con tutto il rispetto per i teorizzatori della sindrome francese, Hosni Ismail ha predecessori illustri in Italia. Per esempio Anis Amri, anch’egli di origine tunisina, autore della strage al mercatino natalizio di Berlino del 19 dicembre 2016. Amri era arrivato in Italia nel 2012 non per compiere un attentato, ha commesso reati comuni, è stato giudicato, condannato e condotto in carcere, al cui interno si è “radicalizzato”: terminata l’espiazione, la sua potenzialità criminale lo ha fatto collocare per breve tempo in un Cie (centro di identificazione ed espulsione), dal quale è stato poi rimesso in libertà, con un decreto di espulsione non eseguito. Un personaggio che, in base alle leggi esistenti in Italia e in Europa, mai avrebbe potuto circolare liberamente si è invece mosso senza ostacoli, fino alla strage di Berlino.

Insistere sulla cittadinanza italiana di Hosni Ismail è un dato veramente secondario. Deve essere chiaro, al netto di non sempre apprezzabili analisi sociologiche, che il sistema sicurezza si tiene secondo una logica d’insieme e funziona a cerchi concentrici: se ne trascuri una parte perché la valuti lontana dal centro, ti trovi a disagio pure su quelli che hai selezionato come obiettivi prevalenti.

Foto Ansa

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