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Il Maschio Selvatico/2. Un fuorilegge salverà la civiltà

La natura feconda del maschio selvatico si ribella alla sterile burocrazia. Smaschera le menzogne dei nuovi diritti e riafferma la sacralità della vita

Caterina Giojelli
15/03/2015 - 2:00
Società
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maschio-selvatico-2-riseÈ una piccola vicenda ordinaria quella raccontata nel 1952 da John Fante in Full of Life, e c’è davvero tutto: «Era una casa grande perché eravamo gente con progetti grandiosi. Il primo era già lì, una sporgenza all’altezza del suo punto vita, una cosa dai movimenti sinuosi, striscianti e contorti come un groviglio di serpi. Nelle tranquille ore prima di mezzanotte appoggiavo il mio orecchio su quella zona e sentivo un gocciolio come da una sorgente, dei gorgoglii, dei risucchi e degli sciabordii. Dicevo: “Si comporta proprio come il maschio della specie”». C’è tutto perché c’è John che annaspa in un brodo di impotenza e rassegnazione davanti a una improvvisamente sdegnosa e beata Joyce; John assalito dalla paura e dall’istinto di fuga davanti alla “sporgenza”, inesplorato regno abitato da un figlio in arrivo; John che non sa riparare un buco nel pavimento di legno marcio in cucina divorato dalle termiti, ma che all’improvviso «ebbi chiaro cosa dovevo fare. (…) Come le nubi che si aprivano, dopo il quietarsi della tempesta, lui mi apparve, gagliardo come la luce del sole, il più grande muratore di tutta la California, il più nobile costruttore di tutti! Papà! La mia carne e il mio sangue, il vecchio Nick Fante».

C’è tutto, perché c’è una casa piena di crepe tirata in piedi da un uomo e una donna, un viaggio per ritrovare un padre capace di riaggiustarla dalle fondamenta, un regno incontaminato governato da una presenza capace di commuovere, mettere in movimento, agitare. Alle prese con il mistero della creazione, il limite e la sua natura profonda, John sente risvegliare la propria libertà umana e vuole salvarsi, fisicamente e spiritualmente, proprio come il “salvadego” di Leonardo da Vinci. Un’impresa per veri uomini? No, per uomini veri, cioè essenzialmente alieni alle ragioni di una donna, una pancia abitata, una casa che cede, un padre con gli attrezzi giusti, essenzialmente maschi. Maschi selvatici.

La cacciata dal bosco
Trovare il proprio mondo selvatico non è come andare ai Tropici per Natale. E un maschio impegnato in questo senso non si trova su Amazon. Fernanda Pivano, parlando della beat generation, della generazione perduta, che lei fa risalire a Eliot, Hemingway e Pollock, scrive: «Dalla cibernetica alla bomba atomica, dai missili nella luna alla procreazione artificiale, i giovani d’oggi hanno subìto una serie di violenze psicologiche che tendono tutte ad annullare l’importanza dell’individuo come essere umano nella realizzazione di programma ultraterreni e ultraumani». Oggi come allora il potere per dominare ha bisogno di cancellare l’individuo nella sua struttura fondamentale, umana. Cioè naturale. Strapparlo al suo territorio d’origine per allevarlo alla scuola delle buone maniere. Ma l’uomo originario, selvatico, non è il buon selvaggio: non è buono, non è neutro. Ha una sua radicata e radicale identità di genere, è politicamente scorretto.

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Ed è dalle sue parti, nel suo mondo selvatico che «prendono forma gli avvenimenti più ricchi di significato e felici della vita umana. È lì, ad esempio, che l’uomo incontra profondamente la donna, e con lei fa dei bambini e costruisce una casa. È un gesto umano elementare, precedente ad ogni altra forma culturale, e tuttavia fondante ogni cultura. Ad esso è affidata la continuazione della vita. Ma anche il pieno sviluppo della personalità umana». Con queste parole Claudio Risé torna a dare gran voce al protagonista indiscusso del suo cultbook degli anni Novanta, il Maschio Selvatico, l’homo salvadego considerato alla stregua di un fuorilegge proprio per la sua capacità di non demandare, in questi tempi genericamente neutri, la propria salvezza a Stati, ordini professionali o burocrazie.

«Ridurre l’essere umano a un “individuo neutro” indebolisce sia l’interesse per l’altro, privato dell’attrattiva della diversità, sia la forza e capacità di iniziativa personali, cui vengono sottratte le rispettive energie sessuali, diverse nei due generi», scrive Risé, attaccando le nuove politiche di genere nel Maschio Selvatico/2. La forza vitale dell’istinto maschile appena editato da San Paolo. «L’inconsistenza affettiva dell’individuo neutro consente invece il rafforzamento delle organizzazioni e apparati economici e burocratici (compreso quelli scientifici, tecnici, politici) che desiderino condizionarlo e plasmarlo». Nell’avanzare di una nuova civiltà dove vale tutto, anche il «commercio di organi», camuffato da aiuto umanitario alle coppie sterili, la maternità surrogata come professione e il confino dell’uomo a neutra controfigura materna, a dover sparire sono paradossalmente loro, madri e padri per natura, sostituiti dai più politicamente corretti A e B, genitori per legge. «Una creazione al contrario: uomo e donna cancellati e sostituiti con le prime lettere dell’alfabeto. La storia e il linguaggio umano sostituite col balbettio burocratico», denuncia Risé. Di più, osiamo noi, un balbettio che non lascia spazio ad alcun evento naturale che presiede la storia dell’umanità intera. L’esistenza di un’alfa e omega, un inizio e un fine, un Verbo che nel cristianesimo si fa carne nel grembo della natura, e ha le fattezze di un bimbo selvatico che, come una piccola ostia bianca, nella bellissima Natività dipinta nel 1960 da William Congdon, discepolo e amico del beat Pollock, apre uno squarcio luminoso nell’ombra della grotta. Senza cancellarla.

Le norme senza macchia
Non ci sono ombre in santa madre burocrazia. Ma nemmeno eventi, il suo ventre è sterile e la sua norma posticcia. In altre parole, non si può costruire molto sulle menzogne e su interessi camuffati da nuovi orizzonti umanitari. Nemmeno solide gabbie. Le polemiche successive alla legge Taubira in Francia «hanno mostrato la vistosa contraddizione tra la motivazione della legge (eliminazione della discriminazione verso gli omosessuali), e la reazione di queste persone», scrive Risé, ricordando le parole di Nathalie de Williencourt, portavoce del collettivo Homovox, attivo nelle grandi Manif pour tous in Francia, «Noi omosessuali non vogliamo il matrimonio, la coppia omosessuale è diversa da quella eterosessuale. Anche per un semplice dettaglio: non può dare origine alla vita», e il volantino diffuso a Parigi dagli Hommen durante il gay pride 2013, «Ogni bambino ha diritto a un padre e una madre. Gli omosessuali, meno egoisti di voi, rifiutano di dare ai loro desideri la precedenza rispetto all’equilibrio dei bambini».

Perché è questo lo scopo dell’orientamento neutralizzante del “matrimonio per tutti”: l’eliminazione di ogni riconoscimento alla maternità e la paternità naturali, luogo di origine di ogni diversità e ultima garanzia della possibilità di uno sviluppo libero della persona. «Ora ci riprovano. Innanzitutto (e nuovamente) con interventi tecnoscientifici sulla riproduzione (come l’acquisto di ovuli e affitti di uteri consentiti da queste leggi), vero sogno finale di ogni Grande Fratello. Oltre alla manipolazione “biopolitica” sulla popolazione, in questo tema è presente anche la fantasia paranoide di onnipotenza e concorrenza al Creatore. Ci si inventa inoltre “diritti” che ben pochi sentono e chiedono (vietando invece antiche riservatezze), ma che tuttavia consentono agli Stati e ai loro apparati burocratici di ridurre ulteriormente la libertà della persona umana, rappresentazione vivente della divinità».

La parola passa dunque al selvatico, «colui che si salva. Il momento storico in cui esce questo libro rappresenta una soglia estrema, nella quale è in causa la vita umana e la continuazione della sua appartenenza alla libera natura creata. Oppure il passaggio alla sua organizzazione, riproducibilità e mutazione secondo tecniche tecnoscientifiche e interessi di poteri economici e politici». In altre parole, il maschio selvatico, con la sua relazione e sensibilità profonda (non intellettuale ma religiosa) per la sacralità della vita «ha oggi compiti e funzioni ancora più chiari ed urgenti di quanti ne avesse quando ha cominciato ad aggirarsi tra gli scaffali delle librerie, ventidue anni fa».

Ben fatto, figliolo
«“È una buona casa”, disse mio padre. “Il pavimento è un po’ in pendenza”, risposi. “Bah. Non vuol dire nulla”. “Abbiamo qualche termite”. “Tutti hanno le termiti”. “Ma nessuno ha un camino come il mio”. Sorrise e si accese un sigaro. “È ben fatto, figliolo. C’è un sacco di spazio per Babbo Natale quando scende dalla cappa”. “Papà, sai quel pezzo di terra vicino a Joe Muto? Credi che dovrei comprarlo?”. “Tu te ne stai qui e tiri su la tua famiglia”, disse. Entrammo in casa e lo sentii che cantava mentre faceva la valigia». Si concludono così le pagine dedicate in Full of Life alla piccola vicenda di John Fante, con un bimbo che nasce, un figlio che diventa padre e un padre che fa ritorno a casa. E davvero non manca nulla.

Il destino del salvadego
Pascal parlava della differenza tra il Dio dei filosofi e il Dio del Testamento, un Dio che nella Bibbia (così come nel Vangelo e nel Corano), si dà un unico aggettivo: misericordioso. Ra’hem, misericordia, che deriva da ra’him, viscere o grembo. Il maschio selvatico lo conosce così, non apatico motore immobile della storia, ma pieno di sentimenti sui quali vince sempre il più viscerale, primordiale, il sentimento della Misericordia. E in un Dio misericordioso si riconosce figlio, che genera figli che hanno il volto del padre, non più suddito schiavo ma figlio libero e partecipe della natura di chi lo ha voluto. Ecco perché non si può non parlare di Dio, di selva, natura e piccoli eroi del quotidiano, a Lui così cari, quando si parla del maschio selvatico.

Lo fa genialmente Risé, guardando all’uomo dal punto di vista originario, cioè con uno sguardo totale sulla sua origine. Avventurandosi per i sentieri del bosco da cui il maschio è stato cacciato, ripercorrendo gli eventi culturali e storici che in nome della civiltà ne ostacolano dolorosamente il ritorno. Una via che incrocia a decine le vite dei santi, dei miti e dei personaggi letterari (da Francesco a Parsifal, da Huckleberry Finn all’Agostino di Moravia), colmi di un sentimento originario che solo comporta l’evidenza di un creatore, un Dio visceralmente buono, e di un peccato che sporca l’uomo. L’individuo moderno, asettico, pulito, non accetta imperfezioni e per questo non può accettare la semplicità della salvezza come dono per la stirpe. L’uomo selvatico, sporco e cattivo, invece sa stupirsene e accettarla. Conosce il Figlio e quindi il Padre. Sa come salvarsi.

Tags: claudio risèfigliojohn fantepadre
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