Enrico Brizzi all’inseguimento dell’imprendibile Guareschi. Una “ciclobiografia” che parla di tutto, dalla politica all’amore ai cazzotti. E sa colpire il «vecchio cuore di terrestre» che è in noi
Giovannino Guareschi in una immagine del 1960 (foto Ansa)
«La notte, in una stanza dai letti affiancati persa nel nirvana del Delta, sogno Giovannino. È vestito alla sua maniera col giaccone di velluto e la camicia a quadri, il volto improntato a un’espressione impenetrabile come quella che sfoggia sull’aletta di Don Camillo e il suo gregge; non si capisce se sia accigliato senz’ombra di ironia, se voglia recitare da tenebroso per apparire seducente, o se, più semplicemente, si ritrovi abbagliato dal sole diretto. Il Nostro, scrutandomi a quella maniera, liscia le estremità dei baffi floridi tra l’indice e il pollice, poi si schiarisce la voce e dice in tono profondo: “A quanto pare, ormai ci siamo”. “Dove?”, domando intimorito, e quello ora mi rivolge un sorriso amaro. “Dove vanno a finire tutti i fiumi”, sospira. “È qui che muore anche il mio”. Poi aggrotta le sopracciglia e nota severo: “A quanto pare, non ti sei fatto una grande idea di me”. “Un attimo”, reclamo. Vorrei dirgli qualcosa di sensato...