Il “Coeur Scorbatt” di Balocchi è il grido dell’umano
Luigi Balocchi è un poeta lombardo dialettale, immerso nella vita dell’ambiente di Abbiategrasso e nello stesso tempo radicalmente in opposizione ad ogni espressione ipocrita o scontata dell’umano. Autore di grande originalità, Balocchi parla e scrive in dialetto non perché vuole radicarsi a qualcosa di antico e di passato, come se avesse unicamente voglia di tenere in vita qualcosa che sfiorisce. Balocchi non è niente di tutto questo, lungi dall’essere tradizionalista, parla una lingua viva, scrive con termini che sono impastati di sangue e carne, trova nelle parole la via verso la realtà, la strada che conduce all’oggi. Balocchi è un uomo del nostro tempo che vuole spendere tutte le sue energie per attraversare a testa alta questo periodo che, più che di pandemia, è un periodo di grandi cambiamenti. Non vi è nostalgia nel suo dialetto, vi è una energia viva, una tensione ad affrontare le sfide dell’oggi.
Cuore nero come un corvo
Quelle che propone Balocchi sono immagini di vita reale, con la durezza che hanno dentro e la tenerezza che esprimono. In lui vibra la contraddizione dell’esistenza, i poli opposti che non si conciliano, ma che portano dentro un bisogno inesausto di senso. Coeur Scorbatt è il grido dell’umano, è il grido di Balocchi che si leva dalla sua umanità inquieta, è il grido di tutte quelle persone che non accettano i compromessi ma vogliono la verità.
È un cuore nero come un corvo, un cuore che sussulta per un bacio, un cuore che è imbevuto di un anelito d’amore.
Coeur ner ‘me ‘n scorbatt
ch’el puccia semper lì
do’che han massaa al nimal
e ‘l sangh l’è giù sguttaa
den’ quella Terra chì.
Per tì anmu quel bas,
intant che ‘l buja ‘l broeud
con den’ tajaa a tocchel
la pell, al mus, al ciapp,
al mej de st’ amour chì.
(“Cuore corvo”. Il cuore nero come un corvo/ s’intinge sempre/ dove hanno ucciso il maiale/ il sangue è gocciolato su questa terra./ Per te ancora quel bacio/ mentre bolle il brodo con pezzi di pelle, il muso, il culo,/ il meglio di questo amore).
Giù a Ticino
È una poesia quella di Balocchi che parla della realtà, che la coglie com’è perché è certo che in questa melma si apre una luce, come scrive in una sua poesia in cui si immerge nel suo ambiente prediletto, il fiume Ticino, quel fiume in cui tutto assume un valore particolare, perché è lì a scorrere per lui, è lì a comprendere tutta questa gente che ha avuto il coraggio di vivere.
Giù Tesinn
Tesinn spantega lus cont i òss compagn di frasch
geròn miròld e litta cip ciap la gibigianna.
Tesin nòst’ bamburin
e quej ch’hinn chì passaa, i gent i padr’ i fioeu
chì tucc rugà in del sangh, chì den’ desmentegaa
strengiuu den’chì in del fiaa.
(“Giù a Ticino“. Ticino che semina luce con le ossa fraterne alle foglie/ ghiaioni bisce d’acqua e sabbia cip ciap il riverbero del sole!/ Ticino nostro ombelico/ e coloro di qui passati le genti i padri i figli/ qui tutti rimestati nel sangue qui dentro dimenticati/ stretti avvinti al respiro).
In Balocchi si trova il presente, vi è la peste che si abbatte oggi sulla Lombardia, sul mondo, il Covid. È la speranza di quel riverbero di sole che porta calore e voglia di vivere. Le poesie di Balocchi sono una sfida all’oggi, leggerle è accettare la provocazione a non subire il tempo ma a viverlo da protagonisti.
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