Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo l’intervento di
don Alberto Cozzi, preside dell’Issrm (Istituto Superiore di Scienze Religiose), all’incontro di presentazione del volume “Nonni 2.0. Storie di nonne, nonni e nipoti“, tenutosi il 5 dicembre al teatro Rosetum di Milano.
Sono sintetico, non veloce ma sintetico perché ci tengo a lasciare spazio.
Anzitutto ringrazio di avermi dato la possibilità di leggere questo libro; non ho mai avuto l’impressione di perdere tempo e sulle pagine iniziali e sul capitolo finale devo dire che mi sono commosso.
Volevo fare i complimenti, al di là del testo, riguardo all’operazione che questo libro presuppone e che secondo me è interessante. La definirei così: il merito di questo lavoro, il Concorso e il libro, è di avere intercettato un “brusio” che c’è nella coscienza italiana e dei nostri ragazzi, ma non è ascoltato. Non lo chiamerei affetto perché non si tratta di una deriva sentimentale né di un dovere patetico di riconoscenza.
È un brusio di sottofondo che dà la percezione che i nonni sono introduttori nella realtà, sono testimoni di un modo di abitare il mondo, sono sotto molti aspetti portatori di una visione della realtà. Ed è interessante, perché la cosa che emerge dal testo e dai temi è che i nipoti questo lo percepiscono.
Non è vero che i nipoti hanno il giudizio: “il mondo dei nonni è vecchio e superato”, anzi a volte hanno la percezione che c’è una serietà della vita anche nel tempo libero, che hanno imparato dai nonni.
Sottolineo il pregio di avere intercettato questo brusio perché, a mio avviso, tutti i riferimenti ai nonni e al loro valore nella società di papa Francesco è qualcosa che c’è nella coscienza di tanti ragazzi e nei loro ricordi. Certo questo deve essere risvegliato.
Rispetto a questo apprezzamento sottolineo in particolare due cose.
Mi ha molto colpito l’atteggiamento di alcuni ragazzi che hanno percepito il tema, così importante nella vita, dell’eredità: riconosco in me qualcosa che viene dai nonni e ne sono contento. Che sia imparare a andare in bicicletta o a fare le tagliatelle, il senso della bellezza e dell’arte o il senso del viaggiare l’ho ricevuto da mio nonno e anche mia mamma l’aveva ricevuto da lui.
Una cosa è buona perché ricevuta dai nonni, è un’eredità da gestire. Per un ragazzo di oggi è importante il fatto che nella vita devo gestire un’eredità, non devo conquistare il mondo o essere quello che si afferma nelle cose.
Imparo riconoscendo un dono. I nonni introducono ciò che io chiamerei una percezione simbolica; in una società che consuma tutto rimane una provocazione che fa pensare. Ricordando i nonni alcune cose, alcuni gesti quotidiani che sembrano banali ritrovano il loro valore simbolico: adesso li posso ripetere, ma penso che il nonno me li ha insegnati , riconosco in me qualcosa che il nonno aveva anticipato, introducendomi alla vita.
Faccio un esempio. In questo periodo natalizio c’è una pubblicità terribile: invece di tanti regali inutili, la mamma te ne ha fatto uno utile, ti ha dato una piccola carta di credito perché ti compri quello che vuoi
Non c’è più una relazione di affetto per cui io sono capace di fare una certa cosa perché la facevo con la nonna. Questa non è una piccola carta di credito, ma un segno che è introduzione alla vita, che mi dà la possibilità di fare cose che non sapevo fare.
Vengo alla seconda dimensione che chiamerei “addomesticamento” (termine che in un’etimologia discutibile significa “riportare alla domus”). Quando i ragazzi parlano della malattia e della morte di un nonno esprimono un rifiuto, un senso di impotenza e di ingiustizia: “non volevo vedere il nonno in quel letto di ospedale, il suo sguardo era assente”.
Però non è la morte, ma la morte di mio nonno; non è la sofferenza, ma la malattia di mio nonno e, se è nel cielo, il nonno mi sta guardando e accompagnando. Questa esperienza mantiene accesa una promessa: la morte non è l’ultima parola.
I nonni sono testimoni di una promessa. Eredità e promessa sono due categorie fondamentali dell’esistenza.
Concludo con una osservazione da teologo: in questo libro si parla poco di Dio, di Gesù, della Chiesa; Gesù compare solo nel capitolo finale, riguardo alla morte (“Il nonno è andato da Gesù”, “sta parlando con Gesù”). Ma devo correggermi subito: c’è un’atmosfera di SENSO RELIGIOSO, che trovo interessantissima. Se dovessi dire un equivalente è come leggere nella Bibbia i Libri Sapienziali nei quali si ha la percezione che l’incontro con Dio non fa che confermare quello che era posto come promessa.
Questo è il senso religioso che ci danno i nonni: se non ci fossero stati i nonni non ci sarebbero neanche il babbo e la mamma, la catena della trasmissione della vita.
I nonni custodiscono la vita come mistero, una vita che, prima di darsi tanti doveri (lo fanno i genitori), contiene la promessa e l’eredità.
Questa è la bella testimonianza dei nonni.