Una lezione di attenzione al diritto che arriva dal carcere. Cinquecento persone detenute (su 581) della casa circondariale di Catania hanno avviato insieme al Garante per i diritti dei detenuti siciliani, Salvo Fleres, la prima “class action” degli istituti di pena. Nel nostro paese è costantemente disatteso l’articolo 27 della Costituzione, che prevede che le pene «non consistano in trattamenti contrari al senso dell’umanità e tendano alla rieducazione», così come è regolarmente disatteso gran parte dell’Ordinamento penitenziario che si basa proprio sul dettato costituzionale e quanto prevede anche la Convenzione europea per i diritti dell’Uomo. A piazza Lanza, il carcere catanese, vivono in cella il quadruplo delle persone previste per la capienza effettiva del carcere (che è di 155 posti), in un edificio edificato nel 1910 dove i riscaldamenti, secondo il rapporto steso dall’Associazione Antigone, non sono messi in funzione da due anni e le luci dei corridoi sono spesso spente per mancanza di fondi.
I 581 detenuti vivono stipati in celle dai 18 ai 22 metri quadri, dove in dieci trascorrono 20 ore al giorno: nelle celle i bagni alla turca (molte con lo scarico non funzionante) sono in un piccolo vano separato, su cui si trovano anche la doccia e i fornelli in cui preparare dei pasti, con il risultato che molto di frequente le celle sono infestate da topi. Le attività educative sono pochissime e molto richieste dai detenuti, ma non tutti riescono di conseguenza a parteciparvi. Sempre secondo il rapporto dell’Associazione Antigone al corso di informatica da 500 ore possono partecipare solo 20 persone, a fronte di 50-60 richieste in lista d’attesa. Per fortuna sono presenti anche altri due corsi professionali, ma sempre per numeri molto bassi (10 persone per quello professionale per elettricista, altri 10 per quello da assistente parrucchiere, destinato alle donne detenute).
I carcerati hanno deciso di denunciare la loro situazione, anziché con proteste violente, in punta di diritto. E in questi giorni presentano un maxi ricorso al tribunale di sorveglianza, dove chiedono condizioni meno disumane di vita e un risarcimento, a titolo simbolico, di mille euro a testa. Questa iniziativa può però realisticamente avere dei risvolti: segue infatti la richiesta pilota presentata da un singolo detenuto dello stesso carcere, sostenuto dal Garante per i diritti, che ha presentato un identico ricorso. Proprio in questi giorni il ricorso è stato accettato dal magistrato di sorveglianza di Catania che ha demandato la decisione finale al tribunale civile. Il maxi ricorso dei detenuti è dunque un gesto simbolica per prestare attenzione alla condizione disumana e illegale delle carceri, “pena” la scelta di inondare di ricorsi anche i tribunali civili. L’iniziativa è già destinata a diffondersi, il garante per le carceri siciliane ha annunciato che verranno presentati nei prossimi giorni maxi ricorsi anche nelle carceri di Messina e Palermo e che incontrerà gli altri garanti in Italia per far sì che la protesta si estenda anche altrove.