Good Bye, Lenin!
Il calcio, il cibo e le auto. Havel visto da vicino
È il ritratto di un uomo libero che si sottrae volentieri al protocollo presidenziale, quello che esce dal libro di Ladislav Špaček Dieci anni con Václav Havel (Mladá Fronta, Praga 2012). Ex-portavoce del presidente ceco, Špaček è stato testimone diretto di molti episodi che ne rivelano la personalità, e nei suoi appunti ci presenta un Havel spietatamente e simpaticamente umano: gli piacciono le minestrine in brodo ma senza pasta, carne o verdura, «e se trovava uno spaghettino lo allontanava disgustato sul bordo del piatto mentre lanciava al cuoco un’occhiata di rimprovero».
La presidenza Havel inizia nel ’90 con uno stile un po’ bohémien. Il mercoledì ad esempio era riservato alle questioni interne ed era stato ribattezzato da Havel il «giorno del maglione», quando – ricorda Špaček – «tutti dovevamo venire in ufficio vestiti con la semplice camicia, col maglione o in abbigliamento sportivo, senza cravatta». Il bel gioco dura poco: «L’abbiamo fatto qualche volta, poi un giorno è scoppiata la crisi di governo e siamo dovuti correre a casa a metterci in giacca e cravatta».
Špaček non ci risparmia nemmeno le fissazioni del drammaturgo-presidente: «Ogni oggetto aveva il suo posto al millimetro… Una posizione precisa l’avevano anche le sedie nell’ufficio di presidenza, allineate secondo le righe del tappeto. Spesso mi accadeva di accompagnare gli ospiti che avevano parlato con Havel in una saletta vicina per l’incontro con i giornalisti, e quando ritornavo da lui lo vedevo là, curvo sul pavimento a risistemare le sedie sul tappeto».
Diversi episodi sono dedicati alle visite in provincia. La sicurezza sapeva che gli piaceva improvvisare e fermarsi qua e là, e non riusciva a prevedere tutto. Un pomeriggio, senza aver ancora pranzato, passano vicino a un’osteria in una località sperduta: «All’ingresso era esposto il menu del giorno: polpettone a 4,20 corone, pane 0,60». Špaček viaggia dietro all’auto presidenziale e quando vede scendere Havel e dirigersi verso l’osteria è ormai troppo tardi: «Hanno il polpettone a 4 e 20, e ho una fame terribile!», esclama il presidente. Tra le nuvole di fumo giace sul bancone il polpettone verdastro. «Non possiamo mangiarlo, signor presidente, guardi il colore», supplica Špaček. Niente da fare: «Sembra buono invece – sentenzia il drammaturgo: – me ne dia un paio di fette».
Numerosi anche gli aneddoti legati ai viaggi all’estero, con Havel che in Brasile litiga con Špaček perché gli impedisce di mettersi i pantaloncini corti o, sempre in Sudamerica, l’incidente surreale all’aeroporto di Buenos Aires, quando l’aereo presidenziale ceco di fabbricazione sovietica manda in frantumi le vetrate della zona militare non appena accende i motori: «Le autorità argentine non ci fecero pagare i danni ma allo stesso tempo ci consigliarono di cambiare apparecchio».
Memorabile l’episodio della finale del campionato europeo di calcio del ’96, giocata a Wembley e persa dai cechi 2 a 1 contro la Germania. Di ritorno dalla visita in Irlanda, lo staff presidenziale persuade Havel che sarebbe un bel gesto assistere alla partita. Havel accetta, pur non capendo nulla di sport. Al termine dell’incontro scendono negli spogliatoi e Karel Poborský, autore di un gol spettacolare contro il Portogallo, regala la sua maglietta al presidente che è atteso da un gruppetto di giornalisti. Gli chiedono chi ritenga sia stato il migliore in campo. Il fido Špaček indica la maglietta e Havel risponde con aria da intenditore: «Beh, Poborský è quello che ha corso di più». La seconda domanda è più impegnativa: «Cosa dice del gol di Berger?». Il cognome del centrocampista ceco, autore del vantaggio su calcio di rigore, suona molto tedesco e Havel risponde candidamente: «Ah, certo, non doveva succedere». A questo punto lo staff interviene e lo salva spingendolo sull’autobus.
Un’altra passione del presidente-drammaturgo erano le auto. Alla metà degli anni ’90, in occasione della visita della regina Elisabetta, Havel e lo staff controllano che tutto sia preparato a puntino. «Ma dove ce l’ha la macchina? Andiamo a vederla!», decide Havel e si mette a osservare la Rolls-Royce, apre la portiera e si siede al posto di guida «giocando» all’autista mentre Špaček seduto dietro finge di salutare la gente. Improvvisamente si rivolge agli agenti della sicurezza, già innervositi: «Apriteci il portone, per favore». «Non si può, signor presidente, tra un attimo arrivano gli inglesi a prendersi l’auto». «Solo un minuto, per provarla». Alla fine Havel la spunta, il portone si apre ed esce tutto contento con la Rolls-Royce in mezzo ai turisti del Castello che scappano come piccioni, mentre Špaček terrorizzato si rannicchia sul sedile. Un attimo dopo fa retromarcia, il portone si richiude e tutti possono credere di aver sognato.
A Natale invece era consuetudine registrare per la tv un breve incontro tra il presidente e alcuni piccoli ospiti, con domande preparate. «Lei protegge i deboli, signor presidente?» – chiede un ragazzino. «Sì, ho aiutato i più deboli praticamente per tutta la mia vita, soprattutto in carcere quando non tolleravo le ingiustizie. Non sono mai stato un superman, ma quando vedevo qualcuno litigare cercavo di impedire che ci andassero di mezzo i più deboli». Il regista e lo staff gongolano commossi, finché Havel non completa il pensiero: «Sapete, bambini, quando aiutate qualcuno, sentite come un sensazione positiva che vi scende lungo tutto il corpo, è come quando… quando bevete un bicchierino!». L’ultima frase non finì in televisione.
«Cosa farà ora, signor Špaček?» – domanda Havel all’amico portavoce al termine del suo secondo mandato. «“Lei è ancora giovane, ha davanti a sé tutta la vita”. Sorrisi: ero già sulla cinquantina e mi sentivo più vecchio di dieci anni. “Non so, – risposi – comincerò a pensarci da domani”…».
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