Fleet Foxes: il folk rock degli anni Sessanta ha i suoi cloni

Di Carlo Candiani
10 Maggio 2011
E' uscito il secondo lavoro dei Fleet Foxes. Il gruppo di Seattle, che si ispira dichiaratamente a miti del rock come Simon & Garfunkel, Byrds, Beach Boys, Dylan, Crosby-Stills-Nash & Young, presenta Helplessness Blues

E’ giunto il momento di mettersi d’accordo. Noi, 50 – 60enni, che abbiamo vissuto da testimoni la grande epopea del rock e le sue legittime declinazioni nel folk, nel blues e nel pop, siamo spesso accusati dai fans dell’attuale deriva musicale da “hit parade”, di rimanere colpevolmente ancorati alle nostre icone, ai monumenti del rock delle origini, senza il quale le canzoni di oggi non esisterebbero. Ci chiamano passatisti, nostalgici. E nel panorama plurale delle espressioni artistiche ci può stare.

Poi cosa accade? Accade che una band, che presenta ora il suo secondo cd, stazionando già ai piani alti delle classifiche di Amazon, prima ancora di uscire nei negozi virtuali e no, si vanta esplicitamente di rifarsi ai canoni compositivi che hanno fatto entrare nella storia delle sette note, nomi come Simon & Garfunkel, Byrds, Beach Boys, Dylan, Crosby-Stills-Nash & Young, ecc…, facendo sprecare grandi peana dalla critica specializzata (non tutta a dir la verità) e grande popolarità tra gli utenti compratori di cd e files. Il “fenomeno” del quale ci stiamo occupando, sono i “Fleet Foxes”, un gruppo proveniente da Seattle (guarda un po’), che con sempre più decisione vogliono seguire la strada di celebrati colleghi, come i “Mumford & Sons” e i “Decemberists”, i cui lavori ridondano di ritmi legati ai decenni della musica anglo – americana che videro alla ribalta il pop dei Beatles e il folk di Cat Stevens in terra britannica e il rock psichedelico addolcito dai giri vocali della “west coast experience”.

Sorge spontanea la domanda: questo nuovo “Helplessness Blues” può entrare nella nostra discoteca ideale? Si, per tutto il lavoro di cesellatura sulle voci e sugli arrangiamenti, evidenti già al primo ascolto. No, perché se dobbiamo scegliere preferiamo gli antichi originali, coloro che il rock psichedelico l’hanno inventato. In più, dopo ripetuti ascolti, invece che alla leggendaria epopea dei sixties, il risultato del cd, in alcuni brani, rasenta l’effetto Enya, stucchevole e un po’ monotono. Ascoltiamoli, quindi, questi “Fleet Foxes”, con contenuto apprezzamento, che propongono non un capolavoro, ma un dignitoso prodotto che, inconsciamente, conferma che la rivoluzione rock si è fermata nella prima metà degli anni ’80 e che poi nulla più si è inventato.

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2 commenti

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