La vittoria dei Tea Party: «Il popolo si riprende l’America»

Di Redazione
17 Ottobre 2011
Intervista esclusiva a Matt Kibbe, presidente di FreedomWorks, il più importante think tank legato al movimento Tea Party, dopo la grande vittoria repubblicana alle elezioni di Mid-term americane: «Questa è la democrazia: massimo coinvolgimento dei cittadini nel responsabilizzare chi viene eletto»

È mezzanotte a Washington e nella sede di Freedomworks, il più importante think tank legato al movimento Tea Party, si levano grida di giubilo. Le proiezioni delle elezioni di Mid-term per il rinnovo completo del Congresso, di un terzo del Senato e dei governatori di 36 stati parlano chiaro: la valanga rossa del GOP sta riconquistando l’America e i candidati sostenuti dai Tea Party sono il fattore trainante del successo.

Al Congresso i repubblicani hanno la maggioranza assoluta, circa 32 governatori su 50 – tanto che il presidente Obama si è complimentato con il nuovo speaker, John Boehner, cattolico. La domanda, allora, sembra ovvia: come mai questo successo? «La verità è che gli americani hanno ripreso a tenere sotto controllo i politici», dice a Tempi Matt Kibbe, presidente di FreedomWorks, «perché dopo il bailout di Wall Street voluto da Bush con il sostegno del Congresso, allora a maggioranza democratica, hanno capito che la posta in gioco era niente di meno che “la classe politica contro il popolo americano”».

«Hanno capito, cioè, che senza un coinvolgimento diretto, il governo avrebbe travolto l’economia e il limite fra il settore privato e lo stato». I Tea Party, infatti, non sono un partito ufficiale, ma un insieme di idee promosse dalla gente intorno ai concetti di conservatorismo fiscale, governo minino e libero mercato.

«Ciò che sta accadendo», spiega Kibbe, «mostra come dovrebbe essere la democrazia: massimo coinvolgimento dei cittadini nel responsabilizzare chi viene eletto e questo oggi è reso più facile e meno costoso, in termini di tempo e denaro, da internet. Il web, infatti, consente la diffusione della conoscenza e dell’informazione e negli ultimi anni ha permesso agli americani di fare a meno dell’establishment politico come intermediario: ora possono scoprire da soli cosa sta succedendo. Lo stesso ruolo determinante è stato svolto dai social network che hanno consentito a tutte queste “anime disperate” che condividono gli stessi valori di ritrovarsi. La crescita esponenziale del movimento dei Tea Party è dovuta a questo».

In realtà neanche Kibbe e i suoi si aspettavano una vittoria così schiacciante e la cosa più interessante è
che «il cambiamento di oggi è dettato dalla politica e non dall’agenda dei partiti». Spiega infatti Kibbe che «si tratta di una vera e propria ondata che chiede la responsabilità fiscale da parte dell’establishment di Washington, e in questo la vittoria di oggi è diversa dai cambi della guardia del passato: non stiamo solo assistendo all’elezione dei repubblicani, ma alla nascita di una nuova, coesa classe di “conservatori fiscali” che d’ora in poi si concentreranno sulla riduzione della spesa pubblica».

Da quando, quindi, lo stesso Bush venne meno ai suoi principi di responsabilità fiscale e trasparenza, gli americani sono tornati alla loro tradizione di auto-governo che parte innanzitutto da istanze. «In un certo senso», dice Kibbe, «l’establishment repubblicano è stato preso in ostaggio dal movimento Tea Party. Adesso però c’è questa nuova generazione di candidati che vuole ridurre la spesa e non, come succede a molti, garantire il massimo flusso di denaro verso i distretti elettorali di provenienza».


Il vero elemento di rottura di queste elezioni
è stato il coinvolgimento del popolo americano nel governo della nazione. Obama sarà quindi costretto ad adeguarsi e ascoltare il popolo.

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