«Gli atleti trans non devono gareggiare con le donne». Parola di trans
È notizia di qualche settimana fa la polemica attorno alla partecipazione di Emily Bridges alla corsa ciclistica femminile CiCLE, una classica in Leicestershire, Inghilterra. Fino al 2020 si chiamava Zach, e fino a febbraio di quest’anno ha corso in bici nelle gare maschili, con buoni risultati. Dopo il coming out nel 2020, ha iniziato le cure ormonali continuando a gareggiare con i ciclisti dello stesso sesso con cui Emily è nata, quello maschile. Terminata la transizione, ha chiesto di potere correre come donna in Leicestershire. L’Unione Ciclistica Internazionale, però, ha detto no.
Maschi biologici ed eventi sportivi femminili
Il caso Bridges ha fatto ovviamente discutere, il premier Boris Johnson ha commentato la vicenda dicendo che «i maschi biologici non dovrebbero competere in eventi sportivi femminili», Bridges si è lamentata in tv del fatto che gli atleti transgender sono diventati una sorta di sacco da boxe della guerra culturale in atto, e nel mondo contemporaneo che non sa più dire che cosa è una donna il suo caso è diventato emblematico di come lo sport sia diventato lo scoglio definitivo superato il quale la differenza di sesso e di genere smetterà di avere valore.
Se è vero che cultura, istruzione, intrattenimento, media e poco per volta persino medicina danno ormai quasi per assodato che chi si sente donna debba essere considerata tale a prescindere dalla biologia, nello sport è rimasto quel vecchio vizio di dividere le competizioni in maschili e femminili. Gli attivisti trans lo sanno, una volta caduta quella separazione (che a livelli minori già sta cedendo), la battaglia sarà vinta.
«Bridges non è un’atleta donna»
«Voglio solo le stesse opportunità delle mie colleghe atlete», ha detto Bridges in un’intervista. «Bridges ha ragione: le persone transgender non dovrebbero aver bisogno di un trattamento speciale», scrive sullo Spectator Debbie Hayton. Che non è una femminista a cui affibbiare l’appellativo offensivo di terf, né l’editorialista di un quotidiano cattolico o una collaboratrice di Breitbart. Hayton è transgender, e forse proprio per questo può permettersi di dire quello che sempre meno persone osano dire.
«Nel dibattito sul fatto che Bridges debba essere autorizzata a competere nelle gare di ciclismo femminile, una cosa va detta: Bridges non è un’atleta donna. La femminilità non è un sentimento nelle nostre teste; gli esseri umani sono femmine se sono membri del sesso caratterizzato da ovaie e produzione di ovuli. Questo non dovrebbe essere controverso da dire; è vero per ogni specie sessualmente dimorfica esistita negli ultimi miliardi di anni».
Lo sport, aggiunge Hayton, è diviso dal sesso in discipline dove «le donne – persone dal corpo femminile – non vincerebbero molto in aperta competizione con gli uomini». Non basta misurare il testosterone per decidere se uno è maschio o femmina, «la storia non può essere cancellata. Bridges conserva il vantaggio della pubertà maschile, il che può significare che una persona ha polmoni più grandi e ossa più forti».Hayton cita studi che spiegano come «il vantaggio muscolare di cui godono le donne transgender si riduce solo in minima parte quando il testosterone viene soppresso». È vero che le cure ormonali influiscono sulle prestazioni atletiche di un maschio in transizione, penalizzandolo nei confronti degli altri uomini, ma il dato oggettivo del sesso biologico dovrebbe restare invalicabile.
«Le donne trans non devono gareggiare contro le donne»
Di chi è la colpa di questa situazione, si chiede Debbie Hayton? «Mentre Bridges ha (forse ingiustamente) ricevuto gran parte delle critiche, la colpa è più degli stessi organi di governo dello sport. Se queste organizzazioni avessero resistito alle richieste apparentemente infinite dell’attivismo transgender, tutto questo non sarebbe successo. Bridges potrebbe continuare a gareggiare al fianco degli uomini, magari in una categoria leggermente inferiore, sapendo trarre vantaggio dalle molte altre opportunità che si aprono per chi è sufficientemente sicuro da essere intervistato a lungo dalle tv. Invece, questo giovane e dotato ciclista è stato spinto al centro di una feroce disputa sull’inclusione transgender che non mostra segni di risoluzione».
Hayton conclude con un’osservazione importante, denunciando l’ipocrisia di chi mette sullo stesso piano abusi, molestie e minacce alle persone trans, che «sono da deplorare», e le critiche alla partecipazione dei trans nati maschi alle gare femminili. «La mia opinione è chiara: le donne trans come me non dovrebbero competere in eventi per donne e Bridges ha sbagliato a sfruttare le regole che lo hanno consentito». Parola di persona trans.
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