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Embolo è sempre lo stesso, ma al Mondiale può diventare se stesso

Storia dell'attaccante nato in Camerun che gioca per la Svizzera e che in Qatar può finalmente uscire dal luogo comune del potenziale fenomeno che delude

Andrea Romano
02/12/2022 - 6:20
Sport
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Embolo Svizzera Qatar
L’attaccante svizzero, Embolo, contende la palla a Thiago Silva durante la sfida contro il Brasile (foto Ansa)

I segni del tempo hanno iniziato a solcare le sue guance, a modellare i suoi lineamenti. Eppure nessuno sembra essersene accorto davvero. D’altra parte lo scriveva Georges Simenon in La Mano: «Ci si abitua talmente tanto alle persone che continuiamo a vederle come le abbiamo viste la prima volta». Il fatto è che a venticinque anni Breel Embolo è esattamente lo stesso giocatore che l’Europa aveva ammirato otto anni prima, ai tempi del suo accecante esordio con la maglia del Basilea. Un pregio che però sottintende anche un problema. Perché quello che sembrava un fenomeno in miniatura è rimasto intrappolato nella dimensione del potenziale. Almeno finora.

Dal Camerun alla Svizzera

Le caratteristiche della punta del Monaco non sono cambiate affatto: grande forza fisica, fibre muscolari che gli consentono di toccare i 33 chilometri orari, capacità di diventare letale con un po’ di campo davanti, senso dell’acrobazia. Solo che incastrata lì in mezzo fra il “potrebbe essere” e “l’avrebbe potuto essere” c’è una rottura della caviglia e della parte inferiore della gamba che ha trasformato i rettilinei in tornanti. Non che la sua vita sia mai stata facile. Breel è nato a Yaoundé, la capitale del Camerun da un milione e mezzo di abitanti che viene chiamata «la città dei sette colli». La storia fra sua madre e suo padre però non funziona. Così quando Embolo ha cinque anni la donna decide di separarsi e andare a cercare fortuna altrove.

L’idea è di mettersi a studiare in Francia, ma niente dura meno dei grandi progetti. Perché la donna incontra uno svizzero che presto diventerà suo marito. Breel e il suo fratello più piccolo si spostano ancora, stavolta a Basilea. Il cordone ombelicale con il Camerun, però, è impossibile da recidere. Ogni volta che può il ragazzo torna in Africa per far visita alla sua famiglia. Trascorre un po’ di tempo con suo padre, cammina di nuovo sulle strade della sua infanzia. «Per me è importante non dimenticare da dove vengo. Tenere a mente la differenza che c’è fra il Camerun e la Svizzera», dirà qualche tempo più tardi. Intanto però a 9 anni inizia già a giocare per alcune squadre di Basilea. Prima il Nordstern, poi l’Old Boys.

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L’autobus 36 e la maglia 36

Molti dei suoi amici vanno agli allenamenti in auto, accompagnati dai genitori. Breel invece deve aspettare l’autobus numero 36. Tutti i giorni. Sotto al sole. Sotto alla pioggia fitta. «Prendevo l’autobus insieme ad altri ragazzi – ha raccontato al sito della Bundesliga – È stato un momento molto bello, molto speciale. Quando si arriva da piccoli in un Paese completamente diverso ci vuole tempo per imparare la lingua e capire la mentalità. Questa è stata la sfida più grande: adottare la mentalità. Mi sembra di esserci riuscito abbastanza bene. Ho avuto un’infanzia molto felice». Ed è vero.

Quando compie 13 anni passa al Basilea. Il suo arrivo assume i contorni dell’apparizione. È chiaro a tutti che quel ragazzino arriverà in prima squadra, bisogna solo capire quando. Breel cresce velocemente. Nella sua cameretta con i poster di Ronaldinho, Samuel Eto’o e 50 Cent. Ma soprattuto in campo. Appena compie 17 anni esordisce in campionato, contro l’Aarau. Ha il numero 36 sulle spalle, in onore di quell’autobus che aspettava da bambino. Ma stavolta non deve pazientare. Il gol arriva subito, anche perché l’avversario è così arrendevole da lasciare lo stadio con cinque reti sul groppone. Poco dopo il ragazzo riceve una chiamata. Il Camerun vorrebbe farlo giocare con la Nazionale. Ma è esattamente lo stesso piano che ha in mente la Svizzera. «Ho rinviato quella decisione per mesi. Non era semplice. Poi la mia famiglia ha rispettato la mia scelta ed è stata la cosa più importante per me». La notte prima delle partite Breel dà vita a uno strambo rituale: beve una o due bottiglie d’acqua prima di andare a dormire. È l’unico modo di evitare un sonno agitato. Resta a Basilea tre stagioni. Gioca in campionato, in Champions e in Europa League.

Incertezza e risalita

«Il mio cuore esulta quando lo vedo giocare», dice il suo capitano Marco Streller. «Di lui mi piace tutto», spiega il suo allenatore Paulo Sousa. Secondo qualcuno Embolo ricorda addirittura il primo Balotelli. Solo che gli eccessi di Breel sono molto più facili da gestire. A 19 anni ha già messo su una fondazione benefica che porta il suo nome. Si occupa di dare sostegno e riparo ai bambini che sono stati costretti a rifugiarsi in Svizzera e quelli svantaggiati in Camerun e Perù. L’idea gli era venuta osservando sua madre. Aveva adottato dei ragazzini a distanza e ogni tanto riceveva delle foto con dei ringraziamenti generici. Lui voleva fare molto di più.

Il suo futuro è ancora incerto, la sua carriera non dà particolari garanzie. Così continua a studiare per non ritrovarsi senza un pezzo di carta se le cose dovessero andare male. Poi lo Schalke 04 si presenta a Basilea con un assegno da 25 milioni di euro. Breel trova una certa continuità, almeno fino a quella maledetta notte di ottobre contro l’Augsburg, quando la sua gamba va in pezzi. Per tornare ci vogliono 11 mesi. Ma il feeling con il gol sembra ormai smarrito. «È un giocatore che davanti corre per tre. Questo significa che non ci aspettiamo un gol a partita da lui», dice Christian Heidel, ex direttore sportivo dello Schalke. Embolo sembra prenderlo un po’ troppo alla lettera. Breel segna 8 gol in due stagioni, poi passa al Borussia Mönchengladbach, dove inizia la sua lenta risalita.

Il gol di Embolo al Paese in cui è nato

Il tecnico Marco Rose è un fattore fondamentale per la sua ripresa. L’attaccante torna a segnare, si avvicina finalmente alla doppia cifra, eppure si ferma sempre alla soglia delle dieci reti. Nel gennaio 2021 riempie le pagine di cronaca, ma non di quella strettamente sportiva. In pieno lockdown l’attaccante si fa beccare a una festa con altre venti persone. Quando la polizia arriva sul posto Breel esce da una finestra, cammina sul tetto, entra in un altro appartamento e si nasconde in una vasca. È una trovata che fa discutere. E anche molto. «Il problema è solo suo e dei suoi avvocati», dice Rose.

Lo scorso luglio Embolo viene ceduto al Monaco. E sembra rifiorire improvvisamente. Nelle prime 15 partite segna 7 gol e serve due assist. Torna a essere centrale. Per il Principato, per la sua Nazionale. Nella prima partita dei Mondiali gli elvetici affrontano il Camerun. La Svizzera vince 1-0, grazie proprio a un gol di Embolo che non esulta per rispetto. È una rete che entra nella storia. Perché è la prima che un giocatore segna contro la Nazionale del Paese in cui è nato. Una storia da mal di testa che si porta dietro una speranza. Perché il ragazzo di Yaoundé può spezzare questo incantesimo temporale. E diventare quel giocatore che tutti immaginavano.

Tags: calcioMondiali Qatarsvizzera
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