Egon Schiele, l’artista che poteva parlare con tutto

Di Mariapia Bruno
30 Novembre 2024
Fiori, alberi e case sembrano prendere vita sulla tela e volersi raccontare. Una mostra a New York illustra gli aspetti meno conosciuti del tormentato pittore viennese
Foto Annie Schlechter
Foto Annie Schlechter

«Spesso piangevo con gli occhi socchiusi quando arrivava l’autunno» diceva Egon Schiele, tormentato pittore viennese, di cui abbiamo parlato diversi anni fa su Tempi, protagonista di una retrospettiva dal contenuto tanto bello quanto poco conosciuto attualmente ospitata alla Neue Galerie di New York: Egon Schiele: Living Landscapes, aperta fino al 13 gennaio 2025.

In queste tiepide giornate di novembre, alla fine della stagione tanto amata dal nostro protagonista, il foliage di Central Park accarezza con maggiore intensità l’elegante facciata dello chic museo americano affacciato sulla Fifth Avenue, una palazzina in stile Luigi XIII, in netto contrasto con i grattacieli adiacenti, che fa da cornice ai paesaggi viventi dell’eternamente giovane pittore (mori a soli 28 anni di spagnola).

Ben noto sulla scena artistica internazionale per i ritratti dalle pennellate nervose e inquiete, per le mani che si contorcono, nodose e sfuggenti, per gli sguardi diretti e taglienti, Egon Schiele (1890-1918) è meno conosciuto per i suoi paesaggi che si fanno portavoce delle più complesse condizioni umane, dove fiori, alberi e case sembrano prendere vita sulla tela e volersi raccontare. Per Schiele, la natura era così intrinsecamente legata all’essere umano, da riuscire a vedere non solo sé stesso e le persone vicino a lui attraverso di essa, ma anche Dio.

Foto Annie Schlechter

Paesaggi che sembrano pale d’altare

«Posso parlare con tutte le creature viventi», diceva l’artista, citando anche i sassi. E attraverso le piante e le vedute urbane ci raccontava di sé e di noi, descrivendo il concetto di famiglia attraverso dei girasoli – quelli più grandi a simboleggiare la genitorialità e i boccioli, piccoli e forti, i figli -, oppure catapultandoci per le strade delle città in cui ha vissuto – tra cui quel gioiello senza tempo che ancora oggi si presenta come una delle più belle cittadine della Repubblica Ceca, Cesky Kumlov – al centro delle quali spesso troviamo un campanile.

Paesaggi dove uomini e animali si incontrano e vedute urbane avvolte in un religioso silenzio che sembrano pale d’altare, sacro e profano si sono sempre fusi nelle mani di Schiele in una scomposta perfezione. Toccanti le fotografie raccolte per l’occasione, tenero il ritratto con l’amato zio, suo tutore legale, in un momento di pausa nel verde, e i ricordi con gli animali domestici.

Egon Schiele, Houses by the River II (The Old City II), 1914. Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid(1978.81)
Egon Schiele, Houses by the River II (The Old City II), 1914. Museo Nacional Thyssen-Bornemisza, Madrid (1978.81)

Il dipinto e il collier

La raccolta di Schiele, esposta al secondo piano, dialoga perfettamente con la collezione permanente della galleria, tra atmosfere viennesi, legami familiari e umane sofferenze. Al primo piano infatti, ci aspetta, dorata e fragile come le foglie d’autunno, l’elegantissima Adele Bloch-Bauer, dipinta dal padre spirituale di Schiele, Gustav Klimt, che quando vide per la prima volta i suoi disegni disse senza esitare: «Lei disegna già meglio di me».

La storia di questo prezioso ritratto della signora Bloch-Bauer, permanentemente esposto alla Neue Galerie, è raccontata alla perfezione nel film Woman in Gold del 2015. La donna ritratta è Adele Bauer, moglie di Ferdinand Bloch, banchiere e produttore di zucchero ebreo viennese, morta di meningite nel 1925 e modella di Klimt. Il marito, che le sopravvisse vent’anni, riuscì a sfuggire alle persecuzioni naziste rifugiandosi in Svizzera, lasciando però dietro di sé gran parte delle sue ricchezze. Il dipinto, insieme allo splendido collier di diamanti dettagliatamente dipinto da Klimt sul collo di Adele, furono rubati dai nazisti nel 1941. Il ritratto, fortunatamente non subì danni, e, dopo una lunga causa legale, fu restituito a Maria Altmann, nipote di Ferdinand, nel 2006, che lo vendette lo stesso anno al fondatore della Neue Galerie.

Della splendida collana, già ereditata dalla stessa Maria alla morte di Adele nel 1925, purtroppo si son perse le tracce, dopo essere stata avvistata l’ultima volta al collo della moglie del criminale di guerra tedesco Hermann Göring. Una nota amara che la dolce espressione di Adele ci fa subito dimenticare.

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