Dopo la Primavera: islamisti e centrosinistra governeranno la Tunisia

Di Rodolfo Casadei
28 Ottobre 2011
I tunisini hanno fatto una scelta chiara: Ennahdha, partito islamista, ha conquistato 90 seggi, il Congresso per la repubblica ed Ettakol, formazioni di centrosinistra favorevoli a un governo di unità nazionale, hanno preso rispettivamente 30 e 21 voti. Squalificato in alcune città il partito in parte legato al vecchio regime di Ben Ali

Più chiara di così la volontà degli elettori tunisini non poteva essere: non solo Ennahdha, il partito islamista ritornato legale dopo trent’anni di clandestinità, ha vinto con una maggioranza relativa più ampia di quella che si prevedeva (41,7 per cento dei voti espressi contro il 30-35 per cento che gli assegnavano i sondaggi) e con un distacco abissale (27,5 punti percentuali) dal secondo partito più votato. Ma il secondo e il terzo partito classificati, il Congresso per la repubblica di Moncef Marzouki (13,8 per cento) ed Ettakatol (9,6 per cento), rappresentano quella parte del centrosinistra tunisino disponibile a un governo di unità nazionale o di larghe intese che comprenda in ruoli di rilievo gli esponenti del partito islamista. Il centrosinistra più ostile ad accordi con Ennahdha, cioè il Partito Democratico Progressista di Ahmed Najib Chebbi e il Polo democratico modernista (coalizione di cinque partiti di sinistra), è stato punito dalle urne. Ennahdha infatti porta a casa 90 seggi, il Cpr 30 ed Ettakatol 21; il Pdp, alla vigilia pronosticato da molti al secondo posto dopo Ennahdha, ne ha raccolti appena 17 e il Polo modernista 5. Ben quattordici liste diverse hanno conquistato 1 solo seggio.

In buona sostanza gli elettori hanno premiato i partiti e gli uomini che in passato si sono opposti più apertamente al regime di Ben Ali e che più hanno pagato di persona la loro opposizione, mentre hanno bocciato chi ha centrato la campagna elettorale sulla demonizzazione degli islamisti e i partiti riconducibili a esponenti del vecchio regime, anche se caduti in disgrazia e non accusabili di corruzione. È il caso di Watan, dell’ex ministro ed ambasciatore in Italia Mohamed Jeggam, che non ha ottenuto seggi, e di L’Iniziativa, dell’ex ministro della Difesa e degli Esteri Kamel Morjane, che ne ha conquistati solo 5. Secondo politologi come Khadija Mohsen-Finan dell’università di Parigi VIII e Malika Zeghal dell’università di Harvard una coalizione fra Ennahdha, Cpr e Ettakatol, cioè i primi tre partiti classificati, avrebbe un alto valore politico, perché «il successo di questi tre partiti rappresenta il successo del “centro” nello spettro politico tunisino. Questo centro non si può definire come una via di mezzo fra destra e sinistra, ma piutttosto riunisce i valori conservatori della tradizione e della religione con un programma per la giustizia sociale e lo sviluppo. Questa è, forse, la nuova identità politica in cui i tunisini si riconoscono».

La santa alleanza laica per isolare Ennahdha dunque non ci sarà, ed è anzi più probabile che l’auspicato governo di larghe intese a guida islamista non serva solo a traghettare la Tunisia verso elezioni politiche e presidenziali giusto il tempo che l’assemblea costituente-parlamento scriva la nuova Costituzione. Secondo Moncef Marzouki, il leader del Cpr, il nuovo governo dovrà durare «il tempo che serve, due o tre anni… Noi proponiamo degli Stati generali per riformare la giustizia, la polizia politica, effettuare un auditing dell’economia… Tutto questo richiederà almeno un anno, e poi bisognerà che i ministri abbiano il tempo di imparare il loro mestiere. Abbiamo bisogno di un esecutivo per governare, non per sbrigare gli affari correnti: la Tunisia non può sopportare un altro periodo di intermezzo».

Qualche segnale preoccupante per la qualità della democrazia in fieri comunque non è mancato. A urne chiuse e risultato delineato la Commissione elettorale indipendente ha deciso di squalificare la lista Petizione popolare Al Arhida in sei circoscrizioni. È sembrata una misura punitiva contro l’unica formazione politica sospettabile di rapporti col passato regime capace di raccogliere un livello di consenso significativo: l’8,7 per cento dei voti, che gli hanno consentito di conquistare 19 seggi e di essere il quarto partito per numero di eletti nell’assemblea costituente. A capo del partito c’è l’uomo d’affari Hechmi Haamdi, in passato islamista di Ennahdha, poi emigrato in Francia e riavvicinatosi a Ben Ali. Grazie alla sua tivù Al-Mostakilla e alle sue promesse populiste è riuscito a fare breccia nell’elettorato. Ora gli vengono rimproverati l’uso disinvolto dei suoi media, finanziamenti in violazione della legge sui partiti e la presenza di esponenti del disciolto partito unico Rcd fra i candidati. Dopo la squalifica di Al-Arhida a Sidi Bouzid, la sua città di nascita, violenti disordini sono scoppiati nelle strade. È una vera ironia che Sidi Bouzid sia anche la città dove è iniziata la Rivoluzione dei Gelsomini col sacrificio di Mohamed Bouazizi, il giovane venditore ambulante che si è dato fuoco davanti al governatorato per protestare contro il sequestro della sua merce e la violenza della polizia.

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