Domande da uomini su Dio. E la domanda di Dio all’uomo

Di Annalisa Teggi
20 Maggio 2025
Spunti da un dialogo tra due voci molto diverse che si sono scoperte amiche nella responsabilità di stare di fronte alle ferite del presente. E alla chiamata di Dio
Particolare de “La creazione di Adamo” affrescata da Michelangelo sul soffitto della Cappella Sistina

«Il paese delle lacrime è così misterioso», scrive Saint-Exupéry ne Il piccolo principe ed è uno dei testi che avvicina due voci molto diverse, eppure amiche, a esplorare il nostro paese di lacrime, la condizione umana segnata dal male. Anna Vinci è stata amica e biografa di Tina Anselmi, prima donna ministro in Italia e presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2. Don Bruno Bignami è direttore dell’ufficio nazionale per i Problemi sociali e il lavoro della Cei e presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, postulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari.

Qualche anno fa don Bignami propose la lettura della biografia di Tina Anselmi scritta dalla Vinci ai giovani del Progetto Policoro, un’esperienza della Chiesa italiana che tenta di dare una risposta concreta al problema della disoccupazione in Italia. Tra Bignami e Vinci nacque un’amicizia, testimoniata dal libro di recente uscita Le traiettorie dell’anima. Il silenzio di Dio e degli innocenti (Lindau, 2025).

Copertina di “Le traiettorie dell’anima”, libro di Anna Vinci e Bruno Bignami

Non c’è uno schema editoriale pianificato a tavolino, ma due voci che prima si ascoltano, poi riflettono l’una sulle parole dell’altra. Anna Vinci e don Bruno Bignami si scambiano un affondo alla volta, procedendo per stimoli successivi, di consonanza e anche di dissonanza, e hanno come terreno comune la responsabilità della libertà umana nello stare dentro le ferite del presente.

Come in ogni dialogo umano ci sono parole di slancio più intenso, parentesi di dubbio, pause. È un viaggio che procede senza un navigatore preimpostato, ma con un’attenzione alla presenza pensante dell’altro, e il lettore può camminare a fianco degli autori divergendo da certe divagazioni, per poi ritrovarsi di nuovo coinvolto di fronte a certi spunti infuocati.

La pretesa di Dio

Dio sbuca fuori da ogni angolo, ed è soprattutto Anna Vinci a stanarlo, riconoscendosi stanca e lontana (ma nient’affatto estranea) dalla fede ardente della sua giovinezza. Chiede, a un certo punto:

«Tu non lo senti mai pretenzioso, Dio, e non ti viene voglia di rimproverarlo per il suo troppo pretendere? A me sì! Perché pretende. Mi sembra… O no!? […] Sovente percepisco, permettimi di dirlo, un che di estremo, a volte violento, nelle testimonianze lasciate dai santi o ancor più dalle sante nel raccontare i propri sacrifici, le proprie privazioni e la gioia suprema che fa seguito».

Il vantaggio di un’amicizia vera è quello di potersi permettere di evitare i convenevoli ovvi, come quello di lodare i santi di fronte a un sacerdote. Sulla pretesa di Dio, allora, don Bruno Bignami spalanca un’ipotesi incoraggiante:

«Ogni chiamata è un invito a un salto di qualità. Ecco perché sembra che Dio avanzi pretese verso di noi. Non siamo fatti per cammini in discesa, ma per scalate che consentono di ammirare paesaggi mozzafiato. Roba da vertigine. La pretesa è iscritta nella vita stessa. La fede ti fa intuire sempre più chiaramente che ogni vocazione è grazia. […] Il gesto più clamoroso che ci è dato di sperimentare è che la nostra esistenza è sotto il segno di una benedizione».

Una benedizione all’inizio della storia di ciascuno

Il bello di un libro, al tempo dei botta e risposta confusi dei talkshow, è che consente al lettore di mettersi al centro del discorso. Nessuno obbliga a passare al capitolo successivo entro un tempo prestabilito. Ci si può fermare, ed è un bene farlo, a soppesare l’idea che la pretesa di Dio sia una benedizione, a domandarsi cosa significhi davvero, se sia una follia.

La benedizione è una parola buona, di fiducia, messa al principio della storia di ciascuno, qualunque percorso prenda il suo destino, permane anche nei punti più bassi e vergognosi delle nostre parabole. Benedizione è l’antidoto alla bugia del progresso come filo conduttore del tempo. La nostra libertà non può accontentarsi di uno schema basato su una previsione di crescita e miglioramento nel futuro, perché ogni normalissima giornata ci sbatte in faccia battute d’arresto, cadute, tradimenti.

Il tempo per uccidere

Ed ecco un altro passo da custodire nello scambio tra Vinci e Bignami. Il tempo non è un grafico in salita, è una sfida pressante. Lo intuisce bene Anna Vinci quando nota un dettaglio scabroso nel famoso passo del libro di Qoelet in cui si elenca che «c’è un tempo» per ogni cosa: «Il fatto che sia citato anche il tempo per uccidere mi ha sempre destato e ancora mi crea una notevole inquietudine». Assediati come siamo da venti di guerra che ci soffiano sul collo e violenze sempre più frequenti in ambito domestico, abbiamo terrore del verbo uccidere. E, d’altra parte, il comandamento tuona: non uccidere.

Don Bignami propone uno scorcio d’interpretazione insolito:

«La scienza e le tecnologie hanno convinto le persone più semplici che più andiamo avanti e più la situazione migliorerà. […] Con Qoelet faremmo bene a recuperare anche una visione ciclica del tempo, così come le stagioni della terra ci ricordano. “C’è un tempo” per ogni cosa sotto il sole. Un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per costruire e uno per distruggere. Il testo biblico non poteva scegliere immagini migliori. Ricordano la centralità del discernimento. Ciò significa che niente è già scritto in partenza. […] Circa la tua difficoltà di accettare che vi possa essere un tempo per uccidere e uno per guarire, lo comprendo bene. Genera inquietudine, dici. Tradurrei “uccidere” con “porre fine”. Allora c’è un tempo per concludere e uno per iniziare. E sulla cosa in genere non abbiamo dubbi. Iniziamo cammini che poi sentiamo il bisogno di interrompere per mille motivi. Intendiamo cambiare strada. Verifichiamo che esiste altro. Oppure, più radicalmente, ci convertiamo. Ogni cambio di rotta è la morte di qualcosa e l’inizio di qualcos’altro».

«Dove sei?»

Fa bene al lettore fermarsi di nuovo, al pensiero che il tempo sia segnato dal passo vertiginoso della conversione, e non è un tracciato lineare accarezzato dalla bugia del «tutto migliorerà».

Nel libro della Genesi è custodita l’origine di una storia in cui la libertà dell’uomo è davvero centrale, drammaticamente centrale. Don Bignami la mette a fuoco così:

«Uomo, “Dove sei?” (Gen 3,9) – risuona di nuovo la domanda che Dio ha rivolto ad Adamo. Dove ti sei collocato rispetto al dono della relazione?».

Curiosamente siamo sempre pronti a ribaltare la questione. Quando il nostro paese delle lacrime è attraversato da segni orribili e inaccettabili di male, c’è sempre la tentazione di tirare fuori la domanda «dov’è Dio?».

Il sussurro instancabile di Dio è anche la domanda più frequente che un genitore scrive su ai figli Whatsapp: «Dove sei?». A differenza delle premure ansiogene di noi madri e padri, quello di Dio è un appello, una chiamata al presente. È un noi. È un vincolo di relazione, mendicato e non preteso. È la benedizione di un rapporto, messo all’inizio della storia di ciascuno come compagnia per i giorni lieti e cupi e imperscrutabili che verranno.

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