Pubblichiamo la rubrica di Renato Farina “Boris Godunov” contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)
Evo Morales, dando al Papa un Cristo inchiodato alla falce e martello, ha scritto una pagina memorabile di verità storica. Non lo sapeva, questo svalvolato presidente della Bolivia, di tirare un boomerang in testa alla sua trovata da birbante in fiera. Ma ha costretto tutti a pensare al rapporto tra il sangue dei martiri, dei povericristi, e del loro capostipite Nazareno, con la spaventosa epopea del comunismo. Boris ne sa qualcosa, quanti fratelli, e padri e madri, e figli e figlie russi, giacciono sotto quella falce e quel martello.
Non fermiamoci lì però. Cristo è stato appeso al filo spinato di Auschwitz. Anche alla croce uncinata del nazismo. Così mentre parliamo è alla mercé delle bande dell’Isis. Lo inchiodano le banche ai loro derivati, e le multinazionali, che tengono le briglie ai governi occidentali, lo flagellano giocando con il cacao e il caffè. Inchiodiamo Cristo, più in piccolo, ai nostri telefonini e all’indifferenza davanti a chi soffre. Non sto facendo graduatorie, mi fermo al catechismo dov’è scritto che a condannare a morte Gesù sono stati i nostri peccati. Per cui guai a scivolare nell’ideologia dell’anti-ideologia come ho visto troppo spesso fare con le migliori intenzioni.
Propongo dunque un’interpretazione autentica dello strano soprammobile, non so come chiamarlo, apparso sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Il fatto è noto. Qualora sia sfuggito, riassumo. A La Paz, Morales prima gli ha messo al collo, e poi ha posto nelle mani di Francesco, una composizione che comprendeva la falce, il martello e, inchiodato a questi elementi a guisa di croce, così da formare un tutt’uno, Gesù in agonia. Il Papa è apparso prima sorpreso, imbarazzato, poi ha sorriso.
Nostro Signore appeso ai cancelli dei Gulag
Solo chi ha un’idea fuori della realtà del Papa può credere che egli abbia voluto, accettando quel dono, accettare l’identificazione di cristianesimo e comunismo. Di certo questa era la precisa intenzione di Morales. Il quale non ha fatto sapere ai collaboratori del Pontefice che intendeva fare questa sorpresa, e confidava – con successo, bisogna ammettere – di farsi propaganda tra i poveri del suo Paese e di conquistare popolarità a sinistra. Chiara la strategia: incoronare il compagno Bergoglio come presidente dell’internazionale marxista-leninista e cheguevarista mondiale, incorporarlo nella sua congrega.
Io penso però che quel monumento estemporaneo di duro ferro debba essere propagandato, diffuso, messo nelle case come la condanna più forte e simbolicamente persuasiva del comunismo. Io lo traduco così: la falce e il martello sono la Croce a cui è stato inchiodato Cristo nell’ultimo secolo. Ha fatto centoventi milioni di morti, il comunismo. Tra essi vescovi, preti e suore a migliaia, e semplici fedeli a milioni. Quel Cristo è stato inchiodato ai cancelli dei Gulag. Si potrebbe proporre a un artista di immaginare Nostro Signore inchiodato persino a qualcosa che simboleggi l’ipocrisia clericale, tanto è vasta la gamma dei peccati.
Ma il comunismo ha qualcosa di diabolico. Ha trasformato le buone intenzioni di giustizia nell’orgoglio demoniaco di costruire il paradiso in terra. Cristo muore appeso a quel simbolo. Non è il comunismo che salva, anzi il comunismo uccide, e inchioda alla falce e martello i povericristi.
Stiamo attenti anche a non inchiodarli noi, quei povericristi, con la nostra presunta superiorità di credenti. Non siamo degni. Valgano questi versetti di Rainer Maria Rilke:
«Questi giorni di angustie/ sono il tempo in cui tutto in noi/ lavora per lui.// Sii paziente e di buona volontà/ il minimo che puoi fare/ è di non resistergli più di quanto/ la terra resiste alla primavera/ quando essa viene».
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