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Cristiani perseguitati del Pakistan. Anche da rifugiati vengono arrestati in Thailandia

In Thailandia circa 11.500 cristiani rischiano l'arresto e la detenzione in centri «disumani». L'Onu dovrebbe proteggerli ma non fa niente

Leone Grotti
27/02/2016 - 2:30
Esteri
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Più di cento cristiani pachistani pregano in una piccola stanza affittata in un palazzo dell’affollata capitale della Thailandia, Bangkok. Sono tutti fuggiti dalla persecuzione religiosa che non li lascia vivere nel loro paese, ma arrivati qui hanno scoperto che il loro calvario non è finito.

«BRUCIATA VIVA». La preghiera è guidata da un pastore protestante di nome Joshua. Anche lui è scappato dal Pakistan. Dopo essersi convertito dall’islam al cristianesimo, infatti, i musulmani di Lahore volevano ucciderlo: «Hanno cercato di tagliarmi un braccio e mi hanno spaccato un osso vicino al cuore», ha dichiarato alla Bbc. «Mia sorella invece è stata bruciata viva solo per aver pronunciato la parola “Dio”. Odiano moltissimo questa parola. L’hanno bruciata solo per questo».

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11.500 RICHIEDENTI ASILO. In Thailandia ci sono 11.500 richiedenti asilo provenienti dal Pakistan. Sono praticamente tutti cristiani. Una volta arrivati nel paese, spesso con la scusa del turismo, i profughi si recano agli uffici dell’Unhcr, agenzia dei rifugiati dell’Onu, per ottenere lo status di perseguitati ed essere trasferiti in qualche altro paese. La procedura prevede che l’Onu registri il caso e fornisca ai cristiani un documento provvisorio. Questo certifica che la persona in questione è sotto indagine.

L’AGENZIA ONU. Ma l’iter può essere ostico e la lista d’attesa è lunga. Sabir, arrivato nel 2014 con le due figlie, la moglie Laila e la sua famiglia, in tutto dieci persone, si è sentito rispondere dall’Onu che il suo caso non sarebbe stato investigato prima del 2018. E l’indagine stessa può poi durare anni. Nel frattempo, hanno trovato una piccola stanza dove vivere senza cucina, né bagno: nessuno ha accesso ai servizi di base come sanità o educazione. Se si trovano a Bangkok è perché in patria tutta la famiglia è stata minacciata di morte da un gruppo di musulmani: dovevano convertirsi all’islam o andarsene. Ora che se ne sono andati «abbiamo solo paura della polizia che controlla l’immigrazione». Laila, come tanti altri, è stata arrestata infatti due mesi fa.

MULTA E ARRESTO. La Thailandia, pur affermando di rispettare i profughi che chiedono aiuto all’Onu, non ha mai firmato la convenzione sui rifugiati. E anche se i cristiani sono in possesso dei documenti provvisti dall’Unhcr possono essere arrestati in qualunque momento. In media, centinaia di cristiani pakistani vengono arrestati ogni mese, costretti a pagare una multa di 100 euro e portati nel temuto Centro di detenzione degli immigrati.

CENTRI DISUMANI. Qui, in condizioni igieniche «disumane» e in stanze sovraffollate, centinaia di cristiani pakistani vivono a volte senza cibo e acqua potabile per giorni. Gli uomini vanno in giro nudi per il caldo insopportabile. Le donne spesso tengono in braccio i figli, che non possono lasciare a nessuno fuori dal centro e che si ammalano di dissenteria per la mancanza di acqua potabile. L’unico modo per uscire da questo inferno è sperare che qualcuno, spesso ong locali, paghi la cauzione di circa 1.000 euro. Ma sono tanti quelli da far uscire e le associazioni si concentrano solo sulle persone più vulnerabili. L’Onu dovrebbe fare qualcosa, ma nessuno ci spera: «L’unica nostra speranza è Dio», affermano i detenuti.

CARCERE E CATENE. Può anche capitare di peggio, però. Chi, infatti, al momento dell’arresto, non può pagare neanche 100 euro, viene rinchiuso nelle carceri thailandesi. L’anno scorso, venti uomini, donne e bambini pakistani sono finiti in cella, con le caviglie e i polsi costantemente ammanettati. «Non riuscivamo né a dormire, né a stare seduti, né a camminare con catene pesanti 4 o 5 chili», racconta un ex detenuto. «Abbiamo sofferto molto, per coprirci avevamo solo un pezzo di stoffa». Alla fine, tutti sono usciti solo grazie a un missionario che ha comprato la loro libertà.

«VOGLIO VEDERE MIA FIGLIA». L’Onu sa che deve fare di più, ma dice di essere impotente. I cristiani sembrano quasi rassegnati all’oppressione: «Gesù ci ha detto: “Se qualcuno vi fa del male non maleditelo, ma invocate intercessioni per lui”. Ecco, noi invochiamo intercessioni per l’agenzia rifugiati dell’Onu». Laila, rinchiusa nel centro di detenzione degli immigrati, vorrebbe almeno rivedere le sue figlie: «Mi mancano, portatemele qui. Voglio almeno vedere i loro volti». Ma anche questo è difficile: le visite durano solo un’ora al giorno e non c’è posto per tutti. Così bisogna fare a turni e prima che arrivi il proprio può passare molto tempo.

@LeoneGrotti

Tags: bbcCristianiCristiani PerseguitatiIslamPakistanthailandia
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