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Natale dove non esiste il Natale

In Corea del Nord, dove non c’è altro dio che «l’eterno presidente», dove andare a Messa è proibito, qui, una storia iniziata duemila anni fa si tramanda, c’è, è vita

Leone Grotti
25/12/2015 - 2:00
Esteri
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corea-del-nord-ansa

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – In tutto il mondo il 24 dicembre è la vigilia di Natale. Tranne in Corea del Nord. Per nascondere l’evento della nascita di Gesù Cristo il regime comunista ha riempito di ricorrenze, tutte a sfondo nazionalistico, le date che precedono e seguono il fatidico 25 dicembre. Il 24, dunque, è festa ma si celebra la nascita di Kim Jong-suk, nonna dell’attuale dittatore Kim Jong-un, il “Grande successore”, e madre del “Caro leader” Kim Jong-il. Per l’occasione, a tutti è richiesto di recarsi in pellegrinaggio nella città di Hoeryong, dove la donna è nata, nel nord-est del paese. E come quattro giorni prima, il 20 dicembre, si tiene un giorno di festeggiamenti per il solstizio d’inverno, in base al calendario coreano, così tre giorni dopo, il 27, ci si rallegra ancora per l’entrata in vigore della Costituzione del 1998. L’1 gennaio, invece, è tradizione andare in processione al Palazzo del sole di Kumsusan, situato nella capitale Pyongyang, all’interno del quale si trova il mausoleo di Kim Il-sung, padre della patria ed “Eterno presidente”, dove dal 2011 è deposta anche la salma del figlio Kim Jong-il. La glorificazione in ogni sua forma della famiglia Kim non è un caso, perché nonostante la Costituzione garantisca a tutti i cittadini il rispetto della libertà religiosa, di fatto l’unica religione ammessa è il culto di Kim Il-sung. Come scriveva nei suoi libri il giornalista Ryszard Kapuscinski, grande conoscitore dell’Unione Sovietica, «il comunismo non vuole eliminare la religione ma sostituirsi ad essa». La Corea del Nord offre la più potente conferma di questa teoria, dal momento che nella dittatura i calendari non segnano l’anno 2015 ma il Juche 104: tanti sono gli anni passati dalla nascita di Kim Il-sung, mentre Juche (letteralmente “contare su se stessi”) è l’ideologia inventata dall’Eterno presidente per il paese.

Gesù, e con lui il Natale, non è soppiantato solo teoricamente, ma anche praticamente. Celebrare la nascita di Gesù è vietato e se si viene scoperti a pregare o a possedere una Bibbia si viene fucilati senza processo o inviati in un gulag. Si pensa che nei terribili campi di sterminio ci siano attualmente fino a seimila cristiani su 200 mila persone. Come l’inchiesta dell’Onu sulle violazioni dei diritti umani nel paese ha confermato, «chi pratica la religione viene perseguito come un criminale». Il cristianesimo in particolare è paragonato «alla droga, ai narcotici, al peccato e all’invasione capitalista». I missionari sono paragonati in pubblico a «vampiri che succhiano il sangue».

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Di tre cose vengono accusati i cristiani una volta arrestati: non adorare il leader ma un’altra ideologia; essere spie di Stati cristiani come Usa e Corea del Sud; essere responsabili del crollo del comunismo nell’Europa dell’Est e in Unione Sovietica. Le testimonianze non mancano: B., scappata in Cina e rimpatriata, è stata interrogata sulla sua partecipazione a riti cristiani, torturata e imprigionata per un anno. Dopo aver confessato di essere cristiana è stata inviata nel gulag numero 11. La madre di K. è stata condannata a tre anni di campo di lavoro perché cristiana nel 2006. Era troppo debole per finire nel gulag e quindi l’hanno portata in ospedale e legata al letto con delle corde. È morta di fame legata al letto. Una donna della provincia di Ryanggang è stata arrestata perché cristiana dopo che un suo amico, sotto tortura, l’ha denunciata rivelando che era credente. Lei e altri compagni di cella sono stati torturati e giustiziati.

L’unica “strana” Messa
Nonostante la persecuzione violenta del regime, l’assenza di Messe, presepi, decorazioni o alberi addobbati, in Corea del Nord c’è ancora qualcuno che ricorda di nascosto la nascita di Gesù Cristo. «Non conosco il numero esatto di cattolici nel paese, anche se alcuni dicono che ce ne siano almeno 800», dichiara a Tempi padre Agostino Lee, direttore del Dipartimento per le comunicazioni della Conferenza episcopale coreana. Insieme a cinque vescovi e numerosi sacerdoti, si è recato a Pyongyang dall’1 al 4 dicembre per parlare con le autorità della Corea del Nord. «Alcuni cattolici sono stati battezzati prima della guerra e sono molto anziani, mentre la maggior parte è stata battezzata dai laici, come prevedono i canoni 861 e 862 del Diritto canonico. Infatti, non ci sono più sacerdoti nel paese».

Uno dei motivi della visita della delegazione sudcoreana riguardava il restauro dell’unica chiesa cattolica rimasta nel paese: quella di Jangchung, costruita nel 1988 e ora «danneggiata per il cedimento del terreno». Molti la considerano una finta chiesa per illudere i turisti che la libertà religiosa esista. In effetti, dal momento che non esistono preti, nessuno vi dice la Messa, anche se un laico guida la Liturgia della Parola. L’anno scorso, un cronista del Frankfurter Allgemeine Zeitung ha partecipato a una funzione, dove un tal “padre Francesco” aveva spiegato che con l’aiuto di Dio la Corea del Nord avrebbe condotto una guerra santa contro il Sud, colonia dell’imperialismo americano, e riunificato la penisola. Una predica non proprio evangelica. Nonostante questo, padre Lee afferma che «la chiesa è consacrata e non può pertanto essere considerata “finta”. Durante la visita, abbiamo celebrato la Messa in chiesa e c’erano 70 fedeli. Dall’anno prossimo, abbiamo ottenuto il permesso di inviare un sacerdote per la Messa di Natale e Pasqua».

Sicuramente, «c’è qualcuno che ricorda e celebra le feste importanti secondo il calendario romano, come il Natale. Di più non posso dire». Sono tanti i racconti di rifugiati nordcoreani che parlano di donne anziane sedute in cerchio intente a contare i fagioli mormorando come se stessero recitando il rosario. Secondo il governo, i cristiani nel paese sono tremila ma la cifra è irrealistica. Open Doors sostiene che siano almeno 400 mila e in aumento, e per Aiuto alla Chiesa che soffre ci sarebbero 10 mila cattolici su 24 milioni di abitanti. Forse anche per questo il regime ha inasprito ancora di più il suo atteggiamento. Chi ha il permesso per ragioni commerciali di recarsi in Cina, al suo rientro è interrogato a lungo per verificare che non abbia incontrato comunità cristiane. Le autorità hanno aggiornato le liste di sospettati, mettendo le loro fotografie a disposizione dei funzionari incaricati di verificare contatti illeciti. Solo l’anno scorso 130 persone sono state arrestate: alcune si erano recate in Cina fino a cinque anni prima, molte non si sa che fine abbiano fatto. Secondo il sito Daily Nk, «il regime teme che la diffusione del cristianesimo possa portare a diserzioni di massa e porre le basi per una potenziale sommossa ideologica».

«Ho visto un crocifisso»
Gli sforzi repressivi però non bastano e la venuta di Gesù si comunica lo stesso, come testimonia Hea Woo, nata nel 1950 nella provincia di Kangwon, detenuta in un gulag perché cristiana e scappata definitivamente nel 2010: «Mia mamma era cristiana, anche se io l’ho scoperto solo quando avevo più di 40 anni. Un giorno, da piccola, ho trovato sul tavolo la collana di mia mamma con appeso un crocifisso. Quell’uomo mi ha fatto impressione: non l’avevo mai visto e le ho chiesto chi fosse e cosa avesse fatto per essere trattato così. Mia mamma non mi ha risposto, si è spaventata moltissimo e ho dovuto prometterle che mai avrei parlato di quella cosa. Io non capivo, allora non sapevo neanche che esistesse Gesù. Ricordo che da bambina a volte mi svegliavo e sentivo che in cucina mia mamma mormorava. Appena mi vedeva arrivare, taceva di colpo. Pensavo fosse un po’ matta, solo dopo ho capito che pregava di nascosto. Ora che sono uscita dalla Corea del Nord e vedo i bambini che vanno in chiesa penso sempre a quanto sono fortunati: io non potevo neanche immaginarmi che esistesse un Dio. Quando eravamo in difficoltà, mia madre mi diceva di essere paziente perché il cielo ci guardava. Non capivo cosa volesse dire ma lei ripeteva che il cielo ci proteggeva. La vedevo dividere sempre con gli altri il poco che avevamo e pensavo che lo facesse perché era buona, invece lo faceva per Gesù. Solo quando sono scappata in Cina e ho visto un crocifisso, mi hanno spiegato per la prima volta chi era quell’uomo. Allora ho capito tutto di mia mamma e mi sono convertita».

Tags: corea del nordCristiani PerseguitatiKim Il-sungkim jong ilkim jong unnatale
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