«Alla ricerca serve tempo, ma io cosa dico a mio figlio con la sindrome di Down?»
«Voi ci dite che la ricerca scientifica ha bisogno di tempo, e va bene. Ma io tutte le sere torno a casa da mio figlio disabile, che cosa posso dirgli?». È quasi un grido quello della mamma, e le risponde un applauso scrosciante. Le sue parole mettono il dito nella piaga: ritrovare, ricostruire la relazione di fiducia tra medico e paziente, naturalmente con il coinvolgimento delle famiglie, è il problema numero uno del mondo sanitario oggi.
Serve uno spazio per fare incontrare famiglie di ragazzi con sindrome di Down, associazioni e medici che fanno ricerca per rendere la vita dei pazienti la migliore possibile. Ma è proprio questo lo scopo che si è proposto l’VIII convegno nazionale sulla sindrome di Down, dal titolo “Dalla ricerca alla terapia”, tenutosi gli scorsi 18 e 19 ottobre a Napoli, organizzato da un comitato di docenti dell’università Federico II guidato dal professor Lucio Nitsch del dipartimento di Medicina Molecolare e Biotecnologie Mediche.
Epigenetica e alleanza medici-famiglie
Che sia questo il senso più profondo dell’iniziativa lo sottolinea a Tempi, già prima di poter partecipare ai lavori, la dottoressa Laura Macculi che è venuta da Roma per parlare del tema dell’osteoporosi negli adulti trisomici. «La cosa importante è spiegare che servono tutte le occasioni possibili per fare rete tra professionisti sanitari e familiari», insiste. Gli interventi cominciano con un tono marcatamente specialistico: si parla di sperimentazione sui topi modificati geneticamente, di metilazione del Dna, insomma di argomenti difficilmente accessibili ai profani. L’atmosfera è amichevole, le associazioni presenti, tra le quali CoorDown e AIPD collaborano all’organizzazione logistica e alla ristorazione, facendo partecipare i ragazzi disabili; agli interventi assistono numerose famiglie.
Tuttavia si percepisce una certa tensione, le domande dei familiari sono rare e faticano ad esprimersi. Il problema viene allo scoperto durante la tavola rotonda, alla quale partecipano diversi medici tra cui l’organizzatore professor Nitsch, il dottor Gian Luca Pirazzoli referente dell’ambulatorio clinico per adulti con trisomia 21 presso l’Asl di Bologna, il dottor Angelo Carfì del policlinico Gemelli di Roma e altri. La tavola rotonda è stata organizzata proprio a questo scopo, le famiglie hanno indicato gli argomenti di loro interesse attraverso un sondaggio avviato dalle associazioni.
A chi affidare un figlio con la sindrome di Down dopo i 18 anni?
Poco alla volta le difficoltà e le preoccupazioni dei familiari cominciano a emergere: esistono integratori alimentari affidabili per i sintomi cognitivi della sindrome? Quali sono i centri a cui rivolgersi? E soprattutto, a chi chiedere di prendere in cura una persona trisomica dopo che abbia superato l’età pediatrica? Le domande lasciano trasparire tutto il carico di angoscia e di fatica di chi deve confrontarsi quotidianamente con un figlio disabile.
I dottori Pirazzoli e Carfì prendono di petto il problema: non si può pensare di aggirare il rapporto paziente-curante. Gli stessi team di ricerca qui rappresentati stanno lavorando per verificare l’efficacia e la sicurezza di alcune terapie farmacologiche, compresi determinati integratori alimentari. Sono allo studio anche altre questioni, come gli effetti del sonno sulle capacità cognitive o l’impiego della stimolazione cerebrale non invasiva.
Il tema degli integratori è molto sentito, in quanto questi non richiedendo prescrizione possono essere acquistati immediatamente; ma i relatori presenti alla tavola rotonda insistono sul punto: gli integratori devono essere usati solo all’interno di un percorso di cura concordato con un medico. Il desiderio di trovare risposte facili e immediate ai propri interrogativi è comprensibile. Il primo passo da fare, tuttavia, per chiunque voglia essere accompagnato è quello di cercare un centro che si occupi di curare gli adulti con trisomia 21.
Non bastano le mappe, servono medici adeguatamente formati
Ma non è così semplice, nonostante l’intervento successivo alla tavola rotonda sia dedicato a censire tutti gli spazi clinici in Italia che hanno in cura adulti trisomici. La mappatura dei centri avviata dall’Istituto Superiore di Sanità è un’opera meritoria, ma servono anche criteri per individuare chi ha effettivamente le conoscenze e competenze necessarie per curare.
Le persone con sindrome di Down sono soggette a una congerie di malattie collaterali: osteoporosi, cardiopatie, manifestazioni depressive eccetera; servono una formazione e una esperienza adeguata per trattarli in maniera corretta. È proprio per questo che eventi come il convegno di Napoli sono sempre più necessari.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!