
Come si diventa un numero uno? «Bisogna desiderare, non accontentarsi» e alzarsi all’alba
Tempo fa qualcuno ha detto che l’uovo è un prodotto perfetto fatto col culo. «Sembra una contraddizione eppure è proprio così. È uno degli alimenti più completi ed è quello che viene digerito prima dal nostro corpo», dice Lino Pellizzoni seduto alla scrivania del suo ufficio. Il resto è più che esplicito. «Se qualche medico vi dice di mangiare uova una sola volta la settimana, cambiate dottore perché probabilmente non capisce un tubo. In cucina servono a tutto, dagli antipasti al dolce, dalla colazione alla cena». E sono la passione di Lino da almeno cinquant’anni. Settantasette anni, originario di Casalmaggiore in provincia di Cremona, è il proprietario della Coccodì, quella delle uova di gallina allevate libere nei campi della pianura. «Ho una certa età, ma ho ancora tanti progetti in testa. Non ho tempo di ammalarmi. Sono un ottimista, io. Se le cose non vanno bene bisogna migliorarle col lavoro. Si comincia alle 7 del mattino e spesso si va avanti fino alle 21. E quando è ora di andare a casa ti accorgi che avresti bisogno di un altro paio d’ore. Una giornata di 28 ore, ecco cosa serve. Con gli amici, scherzando, dico sempre che Berlusconi mi ha tradito: aveva promesso di allungare la giornata e invece non lo ha fatto».
VENDERE UOVA PER COMPRARE LA MACCHINA. Lino Pellizzoni è un gran lavoratore, uno che ha sgobbato fin da giovane. Figlio unico, il padre era un intermediario, uno di quei personaggi in grado di farti comprare o vendere bestiame, case, capace di ottenere prestiti. Una persona che dà consigli e che naturalmente gode di grandissima fiducia. «Di soldi ne giravano pochi, non avevo un lavoro e non avevo neppure finito di studiare. Eppure, come tutti i ragazzi, mi piaceva la moto, sognavo la macchina, desideravo: bisogna desiderare nella vita non ci si può accontentare, altrimenti non si va avanti, non si fa nulla». Così, fin da giovane, cerca di guadagnare qualcosa. Prima come autista di un compaesano. «Lo accompagnavo in Olanda ad acquistare bestiame. Lì si comprava bene, c’erano dei bei capi. Poi ho provato a vendere il vino, ma servivano troppe licenze». Diciamo che la voglia di fare c’era, la fortuna un po’ meno. Poi un giorno «ero al bar con degli amici a giocare a biliardo. Entra un signore, mi guarda e si avvicina. “Tu sei il figlio del Pellizzoni. Cosa fai qui a perder tempo?”. Era un amico di papà che per strapparmi da quell’ozio mi ha proposto di andare a vendere uova in Versilia. “Ho un incubatoio di uova a Gussola, domani vieni, prendi un carico e vai al mare”. Il giorno dopo, con un amico, ho caricato la 600 multipla con 4.500 uova e siamo partiti: destinazione Viareggio. Per non fare troppa strada ci siamo fermati a La Spezia. Cercavamo un grossista e abbiamo incontrato un certo Landi che ci ha aiutato a vendere l’intero carico. Ci siamo trovati in tasca 70 mila lire. Non potevamo crederci, per festeggiare siamo andati a Viareggio, abbiamo cenato alla Capannina dove si esibiva un Peppino di Capri agli esordi. Poi siamo tornati a casa e la cosa era finita lì».
SI COMINCIA ALL’ALBA. E invece le cose hanno continuato a girare per il verso giusto. Per pura casualità succede che il primo capo di Lino, quello per cui faceva l’autista, era proprietario di una pensione a Marina di Massa e l’estate successiva incontra il primo cliente di Lino, quello delle 4.500 uova. «Mi hanno contattato perché servivano uova, e il giorno dopo sono partito con un altro carico. Dopo la prima consegna ne ho fatta una seconda, poi una terza e non mi sono più fermato. Dalla macchina sono passato al furgoncino, poi al camion. Per farlo sembrare pieno e non fare brutta figura coi clienti, riempivo mezzo rimorchio con imballaggi vuoti e davanti mettevo tutte le uova». Il lavoro era duro, si cominciava prima dell’alba raccogliendo le uova dai pollai. Manualmente si selezionavano le uova in base alla grandezza. Poi si partiva verso lattai, salumieri e piccole botteghe per vendere la merce. Si tornava per cena e si ricominciava. Visti i buoni affari Lino decide di andare a vendere le uova ai mercati. Prima a Parma, poi a Milano. «Qui ho incontrato persone che mi hanno cambiato la vita. Lo dico sempre ai miei figli: bisogna avere la fortuna di incontrare la gente giusta per andare avanti». Lino incontra Elvezio, un signore conosciuto e rispettato da tutti. «Un giorno mi fa chiamare con urgenza. Mi presenta un certo Buhler, un tedesco che per fortuna parlava l’italiano. All’epoca vendevo 100.000 uova a settimana, Buhler mi proponeva alcuni vagoni. Ogni vagone 300.000 uova: troppe per me! Insisteva, mi offriva a un prezzo stracciato 5 vagoni di uova 50/55. Per fortuna ho accettato: le ho vendute in un baleno! E così sono arrivati altri vagoni e io mi sono spinto fino in Sicilia. Così ho iniziato a vendere all’ingrosso e sono andato avanti per 15 anni. Ho smesso quando i clienti hanno iniziato a comprare dal mio fornitore».
PRIMA LA QUALITÀ. Siamo a metà anni Ottanta e l’attività è destinata a chiudere. Poi succede che il governo Craxi liberalizza i supermercati – prima c’erano solo le Coop – e Lino capisce che quella è un’occasione da non farsi scappare: bisogna iniziare a trattare con loro. A sostenere queste idee è, inaspettatamente, l’allora fidanzato della figlia Giovanna: Gianpietro Seghezzi. «Non ho chiesto niente a nessuno. È stato lui a dirmi che voleva aiutarmi in questa nuova avventura. E oggi è ancora qui». In quel periodo Buhler suggerisce a Pellizzoni di iniziare ad allevare le galline a terra, proprio come in Germania. Fino a quel momento invece, l’Italia aveva fatto di tutto per metterle in gabbia. La cosa garantiva più pulizia, più controllo, la possibilità di allevare più galline in minor spazio e quindi di ottenere più uova. Si trattava di andare in totale controtendenza. «Prima di iniziare abbiamo fatto una ricerca a Milano: il risultato diceva che l’85 per cento delle massaie era disposto a pagare di più per avere uova di galline allevate a terra. Era un fattore solo psicologico, ma ci dava il coraggio di cominciare. Ci siamo dati un nome, L’uovo della corte, e a Lonato abbiamo aperto l’allevamento. Siamo stati i primi a mettere le uova in scatolette di plastica e lo abbiamo deciso dopo uno studio scientifico. L’uovo è traspirante, se lo confezioni nella polpa dopo qualche giorno perde peso. Nella plastica no». Gli affari cominciano a ingranare ma occorreva allargare il mercato. Prossimo obiettivo i supermercati.
«NON SERVONO SOLDI MA VOLONTÀ». Al mercato di Milano Pellizzoni era diventato amico del signor Arturo Gandolfi, il proprietario di Coccodì, un’istituzione nello smercio delle uova. «Eravamo amici, così gli ho chiesto se voleva comprare le mie uova, le uniche in Italia di galline ruspanti, allevate in libertà. Glielo chiedevo ogni volta che lo vedevo finché un giorno mi ha proposto di comprare la Coccodì, ma io non avevo abbastanza soldi. E lui: “Non ci vogliono soldi, ci vuole la volontà. Mi pagherai un po’ per volta”. Non volevo crederci. In tre anni lo abbiamo liquidato. Per me è stato come toccare il cielo con le dita. Anche Gandolfi era contento perché vedeva la sua azienda ben gestita e valorizzata. E dopo qualche anno abbiamo comprato la sede storica di Coccodì, in via Piranesi a Milano. Era il 1992». Oggi gli allevamenti della Coccodì sono sparsi dal nord fino al centro Italia per un totale di 2 milioni e mezzo di galline che producono un milione e mezzo di uova al giorno. E il trend è in aumento. I centri di imballo sono due, uno in provincia di Cremona, l’altro a Forlì per un totale di circa 170 dipendenti. «Noi produciamo e vendiamo uova, nient’altro. I nostri concorrenti invece le sgusciano. Come fatturato siamo i più piccoli anche se da anni continuiamo a crescere. Consegniamo le uova raccolte dagli allevamenti la mattina prima, così l’uovo è freschissimo. L’ultimo arrivato nella nostra gamma è l’uovo senza colesterolo. Siamo gli unici a farlo in Europa». Oggi in azienda lavorano due figli di Lino, Angelo che segue il controllo qualità e Giovanna che cura la parte amministrativa. Gianpietro, nel frattempo diventato marito di Giovanna, è amministratore delegato e cura i rapporti con clienti e banche. «Non ho imposto nulla a nessuno, hanno deciso da soli e questo vuol dire che hanno visto qualcosa di bello. Ma se sono arrivato fin qui il merito è anche di mia moglie. Quando facevo il grossista era lei che sapeva le lingue straniere, non io». Quando Lino si alza dalla scrivania è tardi. «Se sono a casa da solo faccio il mio piatto preferito: due uova al tegamino e sono l’uomo più felice del mondo».
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