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Ci sono un po’ di “ma” sui referendum per una giustizia giusta

Ad un'analisi più approfondita dei 6 quesiti proposti da Radicali e Lega ci si accorge che le ottime intenzioni porterebbero a pessimi risultati. La Lega lo sa?

Emanuele Boffi
30/06/2021 - 4:00
Politica
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Matteo Salvini presenta i quesiti del referendum per una giustizia giusta

Il 2 luglio inizia la raccolta firme per i sei quesiti referendari “per una giustizia giusta” avanzati dal Partito radicale e appoggiati dalla Lega. Notizia che anche noi abbiamo salutato con una certa soddisfazione.

Quasi inutile spiegare il perché. Sono ormai quasi trent’anni – da che esiste Tempi e da che iniziò la rivoluzione giudiziaria di Mani Pulite – che questo giornale denuncia lo strapotere di certa magistratura e l’uso distorto (politico) che viene fatto della giustizia. Uno strumento che viene usato per colpire l’avversario o per rendere lecito ciò che lecito non dovrebbe essere (si pensi solo al campo della bioetica).

Un’analisi dei sei quesiti

Dunque, come potremmo essere contrari alle intenzioni dei sei quesiti referendari? Riguardano la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere, l’abrogazione della legge Severino, la limitazione della custodia cautelare, l’abolizione dell’obbligo di raccolta firme per i magistrati che vogliono candidarsi al Csm e il diritto di voto per i membri non togati nei consigli giudiziari. Tutte questioni – in particolare la separazione delle carriere, la Severino e la custodia cautelare – su cui Tempi ha scritto talmente tanti articoli che si potrebbero riempire delle biblioteche.

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Ma c’è un “ma”, come si dice. Gli amici del Centro Studi Livatino da qualche giorno stanno proponendo un’analisi seria e approfondita dei sei quesiti che invitiamo tutti a leggere (Alfredo Mantovano sul medesimo argomento interverrà anche sul prossimo numero di Tempi di luglio).

Quattro obiezioni

In sintesi, il Livatino dice questo:

Uno, lo strumento referendario è, per sua natura, “pericoloso” perché toglie delle parti e, per quanto si cerchi di eliminare con precisione solo gli aspetti problematici delle leggi, spesso il risultato va a discapito della coerenza complessiva del testo.

Due, il partito che è nella maggioranza di governo (il riferimento è chiaramente alla Lega, che vanta anche dei ministri) perché non si impegna a portare avanti delle riforme in parlamento, anziché cercare la “scorciatoia” dell’abrogazione referendaria?

Tre, siamo sicuri che la Corte costituzionale li ammetterà?

Quattro (l’ultimo ma il più importante): le intenzioni dei quesiti sono buone, ma le conseguenze non lo sono. Cioè si rischia di avere risultati o nulli o peggiorativi.

Spaccio e istigazione al suicidio

Leggete, ad esempio, l’analisi sulla custodia cautelare. I giuristi del Livatino fanno notare che:

«A seguito della modifica, rimarrebbero fuori dall’ambito di applicazione della norma tutti i delitti contro l’incolumità pubblica non commessi da organizzazioni criminali né da terroristi, né mediante armi o altri mezzi di violenza personale».

Quindi per tutti quei reati «commessi senza uso di armi e mezzi di violenza personale» la custodia cautelare non sarebbe prevista. Qualche esempio? La rapina o l’estorsione senza l’uso di armi, ma anche «l’istigazione al suicidio» o «la cessione di sostanze stupefacenti, anche di rilevante entità, purché non accompagnate dalla partecipazione ad associazioni per delinquere volte al traffico della droga».

L’intenzione dei radicali per queste due ultimi casi è chiara, ma la Lega? La Lega è d’accordo?

Foto Ansa

Tags: Legareferendum
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