
Caffarra. Maestro di fede, ragione e amicizia

Quella del cardinale Carlo Caffarra per il beato John Henry Newman era un’autentica devozione. Al tema della coscienza morale Caffarra ha dedicato sin dai primi studi teologici larga parte delle sue limpide e dense riflessioni. Una ratio sempre aperta ad accogliere e valorizzare ogni accento di verità ovunque essa si manifesti e da qualsiasi parte provenga. La certezza della Verità di un Altro rende potentemente più sicuri e umili nel dialogo con tutti di quanto non porti la debole e arrogante incertezza nelle proprie verità.
Di questa medesima robusta stoffa era la teologia del cardinale Caffarra, intrisa fino a grondare sangue e lacrime – come Cristo sul Golgota – di una fede scolpita nella quotidianità della meditazione, della preghiera e della contemplazione. Chi ha avuto la grazia di concelebrare la Santa Messa con lui o di assistervi, si immergeva vividamente nella Passione, Morte e Risurrezione di Gesù, cui ogni parola della Liturgia è drammaticamente tesa. Due Messe mi hanno educato più di ogni altra a dire Messa: quella di san Giovanni Paolo II nella sua cappella privata, cui ho assistito per la prima volta da diacono, e quelle concelebrate con monsignor Caffarra.
Potremmo applicare a Newman e Caffarra le parole con cui Benedetto XVI descrisse l’Aquinate e Bonaventura da Bagnoregio: «Uomini colti, appassionati della ricerca; dei magistri desiderosi di mostrare la ragionevolezza e la fondatezza dei misteri di Dio e dell’uomo, creduti con la fede, certo, ma compresi pure dalla ragione» (2009). Ma la sola fede e cultura cattolica non rendono giustizia alla imponente statura umana del cardinale Caffarra: bisogna affiancarle anche una commovente, irresistibile paternità e festosa amicizia, che lo slancio con cui abbracciava rendeva corporalmente tangibile.
Ogni colloquio con lui – vis-à-vis, telefonico o per iscritto – era un dialogo di fede, di ragione e di amicizia, che si concludeva sempre con un colpo d’ala che faceva guardare diritto allo scopo, al destino della vita e delle opere, nostre e della Chiesa: “Sola misericordia tua”, come è inciso nel suo stemma.
L’ultimo con me, via e-mail, quasi presagendo l’avvicinarsi del suo Venerdì Santo, si apriva così: «Caro Roberto, tenebrae facte sunt super terram!» (Mt 27,45). Ora, caro cardinale Carlo, tu vedi la luce dell’alba di Pasqua in cui tutto diventa chiaro, anche il senso ultimo della menzogna, del male e della morte che Cristo ha vinto per sempre.
Foto Ansa
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