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Bruce Springsteen e la fede cattolica (nonostante tutto)

Sul “Boss” si è detto di tutto, e lui stesso ha ceduto allo spirito politicamente corretto del tempo. Eppure resta un “cattolico di ritorno”. Come dimostra il suo ultimo show

Valerio Pece
01/01/2019 - 1:00
Spettacolo
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Bruce Springsteen a Broadway

«Vivevamo a pochi passi dalla chiesa cattolica, dalla rettoria del sacerdote, dal convento di suore e dalla scuola elementare Santa Rosa da Lima. Tutto a pochi passi, oltre un prato di erba incolta. Sono cresciuto letteralmente circondato da Dio». Così Bruce Springsteen alla premiazione dei Tony Awards per il suo fortunato “Springsteen on Broadway”, concerto tenuto per 256 serate al Walter Kerr Theatre di New York e inciso in un doppio cd uscito il 14 dicembre.

Lo show – molto intimo, accompagnato solo da chitarra e pianoforte – è una lunga e candida confessione intervallata dai suoi brani più noti: dagli esordi stentati in un paesino del New Jersey al rapporto con i genitori («Lo sguardo di mia madre su di me era come la grazia della Madonna»). Springsteen on Broadway, inoltre, è anche il titolo del film di Thom Zimny sullo spettacolo, visibile su Netflix dal 16 dicembre.

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Sul “Boss” (che da Reagan in poi tutti i presidenti americani avrebbero voluto dalla loro parte) si è detto molto, anche se si glissa colpevolmente sul suo essere un “cattolico di ritorno”. Ma è proprio questo, oggi, l’aspetto più evidente (e affascinante) della sua figura. Springsteen nasce da una famiglia cattolica, e fin dal suo esordio musicale un immaginario biblico fatto di figure e simboli religiosi inizia a riempire i suoi testi. I rimandi alle Scritture traboccano e il contrasto tra redenzione e dannazione diventa presto il suo tema più ricorrente.

L’intera sua opera è un cammino, una traversata dalle badlans alla promised land, dai bassifondi alla terra promessa. In un’intervista al Corriere Springsteen affermava: «Credo che nei primi dodici anni accumuliamo le immagini che ci accompagneranno per tutta la vita. Io frequentavo una scuola cattolica. L’anima non è un’astrazione per un bambino. È molto reale, e l’immaginario cattolico, così come la Bibbia, è un modo straordinario di esprimere il viaggio dell’uomo. Io ritorno a quelle immagini d’istinto, continuamente».

Per molti critici americani la sua “accelerazione spirituale” è merito anche di un innamoramento letterario, quello con la scrittrice cattolica Flannery O’Connor («C’era una componente di forte spiritualità nei suoi racconti, e che mi ha spinto a esplorare dentro i miei personaggi. Lei conosceva il peccato originale e sapeva come dargli carne in una storia», così Springsteen). Sulla rivista Dialoghi Carmelitani Angelo Bonera – ribadendo il segno lasciato dalla O’Connor sul cantautore (non è un caso se A Good Man Is Hard to Find, noto racconto della scrittrice, è divenuto il titolo di un brano del cantautore) – afferma che «da Nebraska in poi Springsteen ha raccontato storie di uomini in lotta col peccato originale e con le sue conseguenze».

Bruce Springsteen a Broadway

Ma è dall’album The Rising – dedicato alla tragedia dell’11 settembre – che diventa praticamente impossibile non accorgersi della declinazione religiosa della sua musica. E non solo perché quel titolo rimanda al cuore della fede cristiana (“The Rising” va tradotto come “La Resurrezione”) quanto perché in quell’album il cantautore elabora e celebra la Speranza del popolo americano. Springsteen sceglie infatti di penetrare il dolore delle vittime degli attentati vestendo i panni di un vigile del fuoco (in Into the Fire le parole fede e speranza accompagnano il protagonista, un pompiere «sparito nella polvere»), di un parente in lutto, addirittura di un terrorista, consapevole del fatto che di fronte a quelle macerie la salvezza non può dipendere soltanto dalla capacità dell’uomo. Così, nel brano My City of Ruins, con una sorta di litania si arriva a pregare il Signore per avere la forza di risorgere («Con queste mani prego Signore/ prego per la forza, Signore/ con queste mani/ prego per la fede, Signore/ preghiamo per il tuo amore, Signore/ preghiamo per i perduti, Signore/ preghiamo per questo mondo, Signore»).

C’è di più. Per la Oxford University Press, Daniel Cavicchi ha pubblicato nel 1998 un singolare studio accademico sul significato profondo della passione dei fans per Bruce Springsteen (Tramps Like Us: Music and Meaning among Springsteen Fans, questo il titolo). Il risultato dello studio, basato su tre anni di ricerca etnografica tra i fan di Springsteen, è esplosivo: esisterebbe un legame stretto tra il coinvolgersi nella sua musica e un cambiamento di approccio alla vita, una conversione di tipo religioso.

Secondo L’Osservatore Romano uno dei motivi è che le canzoni di Springsteen «contengono molti riferimenti alla rinascita spirituale e al rinnovamento interiore». A scriverlo, nel ’94, era Gaetano Vallini (mentre il neo-direttore dell’Osservatore, Andrea Monda, sul rock star ha addirittura scritto un libro per la scuola: Springsteen in classe. Spunti didattici a partire dalle canzoni del Boss). Anche per La Civiltà Cattolica – che in un lungo articolo del 2012 di padre Antonio Spadaro si sofferma proprio sulla ricerca interdisciplinare di Daniel Cavicchi – la poetica del cantautore americano «sarebbe religiosa in radice e richiamerebbe per sé un’attenzione di tipo religioso».

Come spiegare altrimenti quella gioiosa beatitudine che esplode trasversalmente (in bambini, adulti e famiglie) non soltanto durante i famosi concerti-festa di Bruce Springsteen ma anche nelle semplici reunion di fan. L’entusiasmo dei partecipanti al “No Surrender Festival”, in Catalogna, ne è un esempio chiarissimo.

Del resto – sottolinea ancora La Civiltà Cattolica – accendere una candela alla Vergine nella basilica di San Petronio, mentre prega per il padre appena scomparso (lo racconta commosso, in un suo libro, Ermanno Labianca, il critico che nel ’93 accompagnò Springsteen per le vie di Bologna); oppure portare al collo la medaglia di san Cristoforo, patrono dei viandanti, sono gesti che parlano di una naturale devozione cristiana dell’autore di Born to Run.

Springsteen non è un santo. Ovvio. Sulla scia di Barack Obama – che minacciava di tagliare i fondi allo Stato del North Carolina reo di aver varato una legge che vieta alle persone di accedere ai bagni pubblici in base alla propria percezione del sesso (la “guerra dei bagni”, così venne battezzata dai media la vicenda) – anche il rocker finì per cancellare la data del tour che faceva tappa nello Stato dell’Est Coast. In quell’occasione il Boss si sottomise allo spirito del tempo (non più però – va detto – di quanto faccia oggi anche qualche illustre ecclesiastico, il gesuita James Martin in testa).

Se c’è una cosa, però, che lo spettacolo “Springsteen On Broadway” sottolinea, è che Bruce Springsteen è assolutamente “dipendente” dalla cultura cattolica, tanto che chiudendo il suo one man show (che scava nell’anima ma non disdegna affatto l’aspetto giocoso) confida: «Once you’re a Catholic, there’s no getting out». Una volta che diventi cattolico, non puoi più uscirne. Alla fine del concerto, il Boss recita il Padre Nostro. È con questa preghiera che il cantautore ha voluto concludere ognuna delle sue 256 serate a Broadway.

@ValerioPece

Foto Ansa

Tags: bruce springsteenflannery o'connornetflix
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