Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Il 16 aprile è il giorno più importante della storia politica di Recep Tayyip Erdogan, il presidente islamista della Turchia. In questa data si terrà infatti il referendum promosso dal suo partito, Akp, per modificare la Costituzione. Se vincesse il sì, Erdogan potrebbe diventare un nuovo sultano e il paese cambierebbe radicalmente faccia rispetto alla Repubblica laica fondata da Kemal Atatürk nel 1923. L’attuale sistema parlamentare si trasformerebbe in uno presidenziale. Il potere esecutivo passerebbe dal governo nelle mani del presidente, che potrebbe anche pubblicare decreti legislativi, sciogliere il Parlamento e dichiarare lo stato di emergenza. Se passerà il referendum, inoltre, tra le nuovi funzioni del capo dello Stato rientrerà quella di nominare 5 giudici della Corte suprema su 13 e il Parlamento non potrà più convocare i ministri. Infine Erdogan, che guida il paese dal 2003, quando è diventato per la prima volta primo ministro, potrebbe essere eletto presidente con simili poteri per altri due mandati fino al 2029.
Non è difficile capire perché in tanti, se vincerà il sì, temono una svolta autoritaria. All’indomani del fallito colpo di Stato di luglio, Erdogan ha fatto licenziare 130 mila ufficiali e arrestare 47 mila persone, spesso per la sola accusa di “gulenismo”, di essere cioè dei seguaci dello studioso islamico Fethullah Gülen, residente negli Stati Uniti e accusato di essere dietro al tentato golpe. In nove mesi, più di 800 aziende sono state confiscate, al pari di molti giornali. La Turchia è il primo paese al mondo per giornalisti incarcerati e chiunque si oppone al presidente viene accusato di “terrorismo”. In più, da anni il leader islamista per aumentare il suo consenso si è fatto artefice di una svolta religiosa e nelle ultime settimane di campagna elettorale ha più volte accusato l’Europa di essere un covo di «nazisti crociati islamofobi». Gli stessi discorsi che l’Isis ripete dal 2013.
Il risultato del referendum è incerto e sembra che la popolazione turca sia divisa a metà. Nonostante la vittoria dell’Akp alle ultime elezioni, la crisi economica che da anni investe il paese ha minato la fiducia dei turchi nell’autoritario presidente.
Foto Ansa