
Storia del banchiere venezuelano che perdonò i suoi rapitori. «Ho perso la mia vita per riguadagnarla»

Non è scontato che due anni fa Germán García-Velutini abbia accettato di diventare il presidente del Banco Venezolano de Credito, se nel 2009, mentre era ancora un semplice banchiere, venne rapito e detenuto in condizioni durissime per un anno. «Quando fui liberato – spiega a tempi.it – potevo trasferirmi in Florida a giocare a golf per il resto della mia vita, ma sentivo che dovevo ridare quanto avevo ricevuto e continuare a servire». “Servire”, è questo il senso della vita per García-Velutini, che interverrà al Meeting di Rimini martedì 25 agosto alle 11.15 per raccontare l’esperienza che lo ha portato al perdono dei suoi aguzzini.
DORMIRE SUL PAVIMENTO. «Fui rapito il 25 febbraio del 2009. Era un Mercoledì delle Ceneri e stavo uscendo dal mio ufficio a Caracas, quando da tre auto scesero alcuni uomini vestiti come agenti di polizia che aprirono la portiera della mia auto e mi caricarono su una delle loro». La velocità con cui i rapitori riuscirono a sequestrare il banchiere, senza dare minimamente nell’occhio, lo convinse sin dall’inizio che erano dei criminali esperti. «Mi portarono in una stanza minuscola di circa due metri quadrati, senza finestre né servizi igienici, dove rimasi chiuso ascoltando musica ad alto volume dalla mattina alla sera, per 12 mesi, faticando a dormire».
Di giorno veniva accesa una tenue luce bianca e di sera una gialla, mentre due telecamere lo monitoravano 24 ore su 24. «Il mio letto era il pavimento e da una porticina ricevevo piccole porzioni di cibo. Sempre da lì riconsegnavo il recipiente di plastica che mi serviva da latrina».
Per non impazzire, Germán cominciò a pregare e ad esercitarsi ogni giorno facendo le flessioni. In tutti quei mesi non ci fu alcuna comunicazione verbale con i rapitori e le uniche informazioni venivano messe per iscritto. «Avevano un linguaggio perfetto, erano ben istruiti. Un criminale venezuelano non può avere una formazione tanto elevata, perciò ipotizzo che appartenessero all’organizzazione terroristica Eta, fortissima in Venezuela, o alla malavita colombiana».
Durante tutta la detenzione, i contatti fra i rapitori e la famiglia García-Velutini avvennero via email, attraverso un sistema molto sofisticato che non permise alla polizia di risalire all’Ip da cui venivano inviati i messaggi. «La cosa peggiore è sapere che la tua vita è oggetto di una compravendita, perché ti colpisce nella dignità. Avevo poi terrore delle torture, oltre che della morte, anche se non fui mai sfiorato, nemmeno con un dito». I rapitori entrarono nella stanza di Germán sei volte in un anno, coi visi sempre coperti dal passamontagna.
UNA STRANA BENEDIZIONE. Non appena il banchiere capì che i suoi rapitori non erano pericolosi, domandò loro di concedergli almeno una cosa: «Scrissi su uno dei bigliettini con cui comunicavamo che volevo la Bibbia e mi fu consegnata». Durante la prigionia Germán la lesse una decina di volte e «mi salvò la vita. “Cosa faccio ora?”, mi chiesi. “Facciamo ciò che leggo”, mi risposi. Solo così capii che il mio rapimento era una benedizione. Anche se ora, quando lo dico, le mie figlie si ribellano».
Fra i tanti versi biblici che ormai Germán conosce a memoria c’è quello di San Paolo, in cui l’apostolo spiega che i membri della Chiesa sono parte di uno stesso corpo e che ognuna ha la stessa importanza per il suo funzionamento: «Compresi che anche io, sebbene chiuso là dentro, potevo e dovevo servire allo stesso modo. “In questo posto – mi dicevo – sto perdendo la mia vita, ma in realtà la sto guadagnando”. Come? Potevo darla per i rapitori e per chi mi stava aspettando fuori, essendo loro d’esempio».
A quel punto il banchiere decise di non reagire mai, né di rispondere al male, né di comunicare astio ai sequestratori. «Scrivevo loro bigliettini come “grazie per il cibo” e passavo loro alcune citazioni della Bibbia. Pur non comprendendo come fosse possibile che non li odiassi, cominciarono ad essere più accorti e alla fine mi comunicarono la loro ammirazione».
Il giorno prima della liberazione accadde un fatto straordinario. «Fu una delle poche volte che uno di loro entrò nella mia stanza e mi fece la barba. Sapevo che non capiva il mio comportamento, allora gli mostrai il passaggio del Vangelo di san Luca in cui Gesù dice: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano (…) Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo”». L’uomo, a cui Germán dava la schiena, lo abbracciò forte da dietro, poi uscì dalla stanza «e mi disse che ero libero. Fu un momento emozionante, capii che era un abbraccio onesto e che la Bibbia non aveva salvato solo me».
PERDONARE CON GIUSTIZIA. Anche la liberazione del banchiere, avvenuta il 3 febbraio del 2010, si svolse in maniera del tutto inconsueta, «perché non fui scaricato sul ciglio di un’autostrada o in mezzo alle montagne, ma su una panchina di un parco di Caracas». Se si chiede a Germán se ha perdonato la risposta è «sì, anche se c’è una differenza fra misericordia e giustizia, perché l’una è imprescindibile dall’altra: se non perdono e se non avessi perdonato, avrei distrutto me stesso e mi sarei consumato nell’odio. Solo così il male non si tramuta in un’escalation di violenza che non finirebbe mai».
Ma c’è una differenza, appunto, fra perdono e giustizia, «che deve essere fatta. È giusto che chi ha compiuto un’ingiustizia paghi, altrimenti vigerebbe l’anarchia e il male si diffonderebbe a macchia d’olio. La vera giustizia poi è propedeutica al riscatto e a una compensazione per tutta la società, perché il crimine non è stato compiuto solo contro di me, ma anche contro la mia famiglia, gli amici e la società intera».
AL MONDO PER SERVIRE. Se è evidente che il banchiere non odia i suoi nemici, diverso però è l’amore che chiede il Vangelo: «Non posso dire di amarli come mia moglie e i miei figli, ma certamente voglio servirli come ho fatto. Se poi mi domandassero di aiutare le loro famiglie nel bisogno lo farei, perché siamo sulla terra per questo scopo: servire gli altri».
Per lo stesso motivo Germán ha accettato l’incarico di presidente del Banco Venezolano de Credito, «anche se ho sempre paura di essere rapito di nuovo». Perché «ho saputo che tante persone avevano pregato e lottato per la mia liberazione, aspettando che tornassi in banca e a lavorare al fianco dell’associazione educativa FeyAlegria, che sostengo con la convinzione che l’educazione sia il miglior modo per evitare la criminalità e i rapimenti. Sì, avrei potuto scegliere di passare il resto della mia vita a giocare a golf in Florida, ma ho un debito a cui, pur nel timore, voglio adempiere con gioia».
Articoli correlati
1 commento
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
Che storia straordinaria.
Grazie