Aristofane o Laura Boldrini
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – In fatto di donne e politica coltivo idee a dir poco arcaiche e patriarcali. Preferirei che il genere femminile si risparmiasse certe bassezze connaturate all’esercizio del potere pubblico. Reazionario come Aristofane nelle sue Ecclesiazuse, la commedia delle donne in parlamento, giudico la scalata femminea al cielo politico come la diretta conseguenza della degenerazione maschile: una svirilizzante voluttà di scendere nella corruzione e nella menzogna incoraggiata dal democratismo mercantilista. Ce lo meritiamo – dice il commediografo ateniese – il comunismo afroditico nel quale i beni materiali e il sesso vengono spartiti nevroticamente da un’oligarchia tirannica di quote rosa.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]Ascoltate la sua Prassagora, travestita da maschietto per convincere l’assemblea della polis sul finire del V secolo prima della nostra èra: «Le donne sono fatte meglio di noi, ve lo posso dimostrare. Primo: bagnano la lana nell’acqua calda come gli antichi, nessuna esclusa. E non sperate di vederle cambiare! (…) Infornano torte, come una volta. Consumano i mariti, come una volta. Tengono amanti in casa, come una volta. Si fanno manicaretti di nascosto, come una volta. Amano il vino forte, come una volta. Godono a fottere, come una volta. Amici, affidiamo a loro la città, senza troppe chiacchiere: è inutile domandare che ci combineranno. Lasciamole governare e basta! Una sola condizione, se mai: sono le madri dei soldati, chi più di loro desidera salvarli? Per i viveri, chi meglio di una madre è capace di spedirglieli? A scovare danari, chi più bravo di una donna? Una volta al potere, chi le imbroglia? Abituate a imbrogliare, sono loro! Lascio il resto…».
Così, morto per inettitudine il patriarcato, subentra la sua controfigura lunare. Ma queste sono soltanto fantasticherie inattuali ricamate con il filo del paradosso da noi tipacci innocui e impolitici. Bisogna ragionare con i parametri contemporanei, occorre sintonizzarsi con il senso comune dominante, conviene tenersi buona Laura Boldrini quando illustra il profilo della sua ideale «forza progressista e laburista, europeista, ambientalista, femminista, solidale».
Assumiamo dunque tale schema, e vediamo chi è più al passo coi tempi. Risposta: le destre europee o eurofobiche, populiste o materne, poco importa: il Mutterrecht di Angela Merkel e la sua versione in camicia rosabruna offerta da Frauke Petry in Germania, la premiership leopardata di Theresa May in Gran Bretagna (tendenza Lady Thatcher, o se volete Queen Elizabeth), il pétainismo dinastico di Marine Le Pen in Francia, il sovranismo romano di Giorgia Meloni in Italia. Ne abbiamo già accennato, ma ripeterlo giova: le sinistre gnagnerose e lacrimevoli alla Boldrini non hanno ancora prodotto una sola leadership autentica, e lungo il sentiero non c’è traccia di figure promettenti che non siano figlie della cooptazione maschile e di una concezione ancillare, per non dire esornativa, delle Ecclesiazuse.
Ma la ragione qual è? Forse sta nella lettura giustificazionista e (auto)assolutoria che la sinistra convenzionale dà della realtà circostante: se è sempre il contesto che penalizza gli ultimi e le svantaggiate, deve essere il contesto a incaricarsi del risarcimento. La sindacalizzazione della questione femminile è il peggiore nemico delle donne, e lì dove invece (a destra) prevale una visione più elementare, basica, responsabilizzante della vita finiscono per svettare personalità forti ispirate dal ruolo che vogliono ricoprire, più che dal genere di provenienza. E noi aristofanei ci godiamo lo spettacolo.
Foto Ansa
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