Arcidiacono sulla giustizia: «La costituzione non ha mai voluto l’autogoverno delle toghe»

Di Chiara Rizzo
16 Marzo 2011
Il costituzionalista Luigi Arcidiacono, professore ordinario di Diritto Costituzionale ed ex preside della facoltà di Giurisprudenza di Catania, analizza la riforma della giustizia, evidenziandone pro e contro. Infine dà un voto al governo che ha messo in cantiere la riforma: 26

Luigi Arcidiacono è professore ordinario di Diritto Costituzionale ed ex preside della facoltà di Giurisprudenza di Catania, da secoli centro di studio riconosciuto della dottrina forense. Nel 1996 ha fatto parte della commissione dei tre “saggi”, insieme ai colleghi Sabino Cassese (ordinario di Diritto amministrativo alla Sapienza di Roma) e Alessandro Pizzorno (Teoria sociale, Istituto universitario europeo di Fiesole) nominata da Luciano Violante su Tangentopoli. Oggi è assessore (tecnico) all’Urbanistica e vice sindaco del Comune di Catania (giunta Pdl). Tempi.it gli ha chiesto di commentare la riforma della giustizia.

Una delle critiche più diffuse sulla riforma della giustizia appena presentata dal Guardasigilli, è anzitutto che modificare i principi previsti dalla Costituzione con leggi ordinarie, può provocare una rischiosa generalizzazione. Lo obietta ad esempio il vicepresidente del Csm Michele Vietti. Lei cosa ne pensa?
Non vedo nessuno scandalo: ci sono stati tanti rinvii della Costituzione alla legge ordinaria in passato, e non c’è stato nulla che abbia scardinato i principi fondamentali. Direi che questa di Vietti è una petizione di principio più che altro: io non ho di questi timori per la verità. La costituzione può flettersi nel tempo, nella concezione nuova o aggiornata delle cose: non vedo perché non possa avvenire anche sul tema della giustizia.

Altra critica pervenuta, ancora dallo stesso Vietti: le modifiche previste per l’articolo 104, oltre alla separazione tra i giudici e pubblici ministeri, non lascerebbero più riconosciuta e garantita costituzionalmente la stessa autonomia e indipendenza del giudice di oggi. Cosa ne pensa? Perché questa modifica fa paura?
Voglio solo premettere che ragiono molto poco sui disegni di legge, perché poi possono essere ampiamente manipolati durante il loro iter, perciò ho sempre diffidato della ricerca scientifica sui ddl. Ma prendiamo l’ipotesi che venga approvato così com’è: l’articolo 104 ha un preciso dentellato dal quale non ci si deve muovere. Ed è l’articolo 112 della Costituzione, quello sull’obbligarietà dell’azione penale. Se non si muove più di tanto l’obbligatorietà, credo che i pm e tutto il sistema di garanzie nei confronti dei cittadini e dell’equilibrio dei poteri vengano conservati abbastanza fortemente. Se invece il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale venisse invece in qualche modo incrinato, beh, potrebbe avere ragione Vietti.

Ma perché, se l’obbligatorietà dell’azione penale non venisse derogata al magistrato (come avviene oggi), ma venissero stabilite delle “linee guida” di priorità dalla legge ordinaria (come vorrebbe la riforma), secondo lei verrebbe scardinata la costituzione?
Scardinata no, ma resterebbe un lato debole di questa riforma. A chi assegnare la formulazione di queste “linee guida”, che potrebbero mutare di anno in anno? Al Parlamento: ma allora bisogna vedere come verranno interpretate le priorità dalle varie maggioranze. Su questo punto della riforma sono critico, perché si passa dall’eccesso attuale ad un altro. Oggi i pm sono oberati dall’eccesso di lavoro e non possono perseguire sempre il principio dell’obbligatorietà: lasciare al singolo pm o alla procura una “scaletta” di priorità mi pare eccessivo. Meglio se lo prevedesse una legge ordinaria: però il parlamento, d’altra parte, potrebbe sancire una sorta di immunità momentanea da parte di alcuni tipi di reati. Secondo me la soluzione potrebbe essere che le priorità le fissi il Consiglio superiore della magistratura, formato da magistrati, che rappresentano la parte tecnica, e da coloro che vengono eletti dal parlamento in seduta comune, nel rispetto di come viene “ridisegnato” dalla riforma.

A proposito del Csm. Nella riforma viene completamente ridisegnata la sua composizione, ma anche il ruolo nell’esercizio dell’azione disciplinare. Cosa ne pensa?
La sezione disciplinare è stata fortemente criticata anche in passato, penso ad esempio a Viesti che sollevò dubbi di costituzionalità sulla sezione disciplinare (costituzionalista che già nel 1958 denunciò in un saggio omonimo Gli aspetti incostituzionali della legge sul Csm, ndr). Ritengo che un organo con tanto di garanzia di indipendenza e autonomia, come l’Alta Corte proposta nella riforma per seguire l’azione disciplinare sui magistrati, potrebbe essere una soluzione molto buona. Per me c’è un difetto che si annida nell’attuale sistema di azione disciplinare, il pericolo di un’azione persecutoria da parte di un pezzo di magistratura nei confronti di un altro pezzo o di un singolo.

Dalle cronache in realtà si ha l’impressione che nell’attuale sistema disciplinare, più che una vessazione ci sia l’uso del guanto di velluto. C’è molta indulgenza nei confronti dei comportamenti sanzionabili dei magistrati…
Sì quest’obiezione è legata a quella che intendevo io: è possibile anche che la “consorteria” dei magistrati, la corporazione, tenda sempre a difendere i magistrati. Il discorso di fondo è che le funzioni dello Stato sono svolte dalle persone e le persone non sono neutre, ma trasmettono le proprie passioni nel loro lavoro. Noi non parliamo mai della Corte costituzionale: ma anche per quel caso, nell’esercizio delle funzioni, ci sono stati atteggiamenti di “scarico” dei magistrati di proprie passioni, opinioni, nell’esercizio della giustizia. Questa obiezione l’ha fatta un grande magistrato, Carlo Esposito, che pure alla voce Capo dello Stato, nell’enciclopedia del diritto, ammonisce che Capo dello Stato non è un organo, ma un organo riempito da una persona, con appunto il suo credo, i pregi, i difetti e la mentalità.

E pensa che i paletti introdotti adesso con l’Alta corte possano garantire più equità nei confronti dei magistrati?
Sì, perché si va fuori dalla logica dell’autogoverno della magistratura, e mai il Costituente ha voluto pensare ad un autogoverno della magistratura. Guardi, questo parlare di autogoverno è un errore, e non la penso affatto come il segretario dell’Associazione nazionale magistrati, non temo assolutamente “uno spegnimento dell’autogoverno” con la riforma. Al contrario, sostengo che l’autogoverno non è mai stato voluto dalla Costituzione, sarebbe un corpo troppo separato, se fosse così.

Poco consenso la riforma lo raccoglie anche sul “ritorno”all’autonomia della polizia giudiziaria, nella conduzione delle indagini. Ricordiamo che oggi è il pm che decide sia la priorità, sia su chi e come indagare: adesso il pm smetterebbe di essere signore delle indagini. Significativo un esempio: gli errori commessi in recenti indagini note alla cronache (da Yara a Sarah Scazzi), sono più addebitabili ai pm che guidano le indagini, che non alle forze dell’ordine sul campo, che in effetti oggi sono “svuotate” di iniziativa, anche se conoscono il territorio. Cosa ne pensa?
Tornerei sul problema della mentalità delle persone. Se il pm, come oggi avviene, può scegliere i suoi collaboratori, ma poi non rinnova queste scelte, possono verificarsi anche tra investigatori e magistrati “incrostazioni”, e sappiamo che alcune indagini si fermano, non hanno sbocchi. E questo avviene per una cementificazione della mentalità della procura e del pm che indaga.

Si potrebbero evitare anche nuove Tangentopoli?
Mani pulite ha avuto diversi risvolti. Voglio dire: quando lavorai alla “commissione dei saggi” nominata da Violante per dare alcune “dritte” alla commissione bicamerale istituita per i reati della pubblica amministrazione, io mi accorsi lavorando su quelle indagini che in effetti ci fu una certa “unilateralità” di indirizzo nelle indagini. Il punto sono le persone, che agiscono con i loro condizionamenti: ma che agiscono con una carica, questo non va dimenticato, e perciò bisogna spegnere il più possibile le passioni, con un arginamento. Io sarei d’accordo a restaurare l’autorizzazione a procedere, anche se in modo diverso da com’era prevista dall’articolo 68. Ma tornare lì significherebbe mettere un paletto tra la magistratura, che ha tutti i caratteri e la sostanza di un vero potere, e la politica.

Le critiche alla riforma sono mosse anche all’inamovibilità del giudice, che è vista come garanzia di indipendenza. Ma perché se una legge ordinaria prevedesse dei casi in cui il giudice può essere trasferito, come prevede la nuova riforma, sarebbe un attentato alla Costituzione?
Questo è un nervo evidentemente scoperto. Io credo nell’inamovibilità come garanzia: ecco bisogna vedere come la legge ordinaria dice sulle circostanze in cui invece si può avere un trasferimento. Se la legge, come la intendo io, prevedesse i trasferimenti per carenze di personale in situazioni di emergenze (penso a distretti, procure, che oggi sono “scoperte” pur essendo posti di prima linea. È il caso di Gela, dove c’è una situazione disagiata, non si può nemmeno fronteggiare la criminalità organizzata). Perciò se il principio dell’inamovibilità è sacrosanto, perché il magistrato “scomodo” in certe città non deve rischiare di essere spostato, è pur vero che ci sono situazioni in cui va rivisto l’organico in chiave territoriale.

Da professore universitario che voto darebbe alla riforma?
Beh.. 30 non lo darei, per le criticità di cui abbiamo parlato: l’inamovibilità, oggi come verrà intesa? L’azione penale in che casi verrà promossa? Questi passaggi indicano una posizione di debolezza in cui si vuol mettere il pm, mentre ci sono altri punti su cui tutti concordano, tra l’altro: positiva ad esempio è la separazione delle carriere. Perciò darei un 26.

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