
Antonio Benvenuti: Te Deum laudamus perché mi hai fatto sbagliato

Come da tradizione, anche nel 2013 l’ultimo numero del settimanale Tempi è interamente dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso firmati da diverse personalità del panorama sociale, culturale e civile italiano e non solo. Nella rivista che resterà in edicola per due settimane a partire dal 27 dicembre, troverete, tra gli altri, i contributi di Carlo Caffarra, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, Ben Weasel, don Gino Rigoldi, Costanza Miriano, Luigi Amicone, Marina Corradi, Aldo Trento, Pippo Corigliano, Monica Mondo, Francesco Belletti, Antonio Saladino, Samaan Daoud da Damasco, Claire Ly, Susanna Campus, Fred Perri, Berlicche.
Ma quest’anno, per la prima volta, abbiamo chiesto anche ai nostri lettori di partecipare al numero speciale dedicato al “Te Deum”. Il testo di Antonio Benvenuti riproposto qui è quello scelto dal direttore e dalla redazione di Tempi e contenuto nel settimanale. Nei prossimi giorni pubblicheremo su tempi.it anche una selezione dei migliori contributi pervenuti.
Ti lodo, Dio, perché non sono come loro. E ti lodo perché me lo fai capire continuamente. Ne ho bisogno, proprio perché non sono come loro. Io sono una testa dura. Una testa di cemento, una testa di ferro, una testa di cuoio. E altri tipi di testa. Quando capisco una cosa, e la capisco bene, io vado avanti come un panzer. Schiaccio. Faccio sempre la cosa giusta.
Solo che la cosa giusta non è sempre così giusta.
Un tuo discepolo della venticinquesima ora diceva che sei venuto a liberarci dalla Legge. E questo l’ho sempre saputo, solo che avevo difficoltà a comprendere cosa fosse la Legge. Adesso l’ho capito. Via, l’ho capito un poco di più. Come dicevo prima, sono una testa dura che ha bisogno di apprendere continuamente le stesse cose, perché una sola volta non basta. Sono come certe materie che studiavi da ragazzo, che non ti entravano in testa e poi pigliavi una sufficienza stentata. Ma quando adesso ti capita di rivederle con tuo figlio scopri che le sai, le sai bene, le sai in una maniera che trent’anni fa sembrava impossibile.
Ecco, così mi capita sempre. Hai voglia a pensare che la Legge sia una cosa per Ebrei. Una cosa del passato. Superata. Sistemata, una volta per tutte. No, quell’accidente di Legge rispunta sempre. Perché, intendiamoci bene, la Legge è tosta.
Con la Legge sai sempre cosa dire. Con la Legge sai sempre qual è il tuo nemico. Con la Legge puoi permetterti di non pensare, perché è già tutto deciso, incasellato, automatizzato. Accidenti, come è comoda la Legge. Ed è anche giusta, di solito. Anche vera, in generale. Ecco, è quello che ti frega di più. La Legge non è affatto male, perché dice cose giuste, ti fa fare cose giuste. Non sbaglia mai.
E questo è esattamente il punto. La Legge non sbaglia mai. Io, invece, sono sbagliato. Sono tremendamente sbagliato. Anche quando faccio la cosa giusta lo vedo bene che potrei fare la cosa sbagliata. E quando faccio la cosa giusta, quando vado avanti come un panzer e schiaccio, dopo mi volto indietro e guardo cosa ho schiacciato. Perché, se applico la Legge, schiaccio. Non c’è posto per ciò che è fuori dalla Legge, nella Legge.
E allora diamo alla Legge il nome abituale. Regole. Valori. Li cerco di passare ai miei figli, ai miei amici, ai miei conoscenti. Agli estranei. E li schiaccio.
Non è che non siano veri, capite. Solo che vanno stretti. E sapete perché vanno stretti? Perché non sono fatti su misura. Sono fatti a misura di altri. E, diciamocelo chiaramente, vestirsi con i vestiti di altri è sempre un fastidio. Sono come quelle uniformi che talvolta hai dovuto mettere. Sempre troppo strette o troppo larghe. Troppo ruvide o troppo morbide.
Un abito intriso di profumo
È veramente odioso mettere gli abiti dismessi di qualcun altro. Non lo faresti mai. Salvo che tu ne abbia veramente bisogno, perché sei nudo e tremi di freddo. Salvo che siano di qualcuno che ami, che portino intriso ancora il suo profumo.
Ti ringrazio, Dio, perché mi hai fatto vedere (più e più volte, dato che ho la testa dura) che quello che vuoi non è qualcuno che imponga la Legge, le regole, i valori. Ma che faccia amare quello che sta dietro quella Legge, quei valori e quelle regole, che poi il resto viene quasi da sé.
Ti ringrazio, Dio, perché mi hai fatto abbastanza sbagliato da capire cosa è giusto. Non perché io sia come loro, come quelli che non sbagliano mai, ma perché ho tentato di essere come loro e non mi è bastato. È una gran fatica essere giusti essendo sbagliati. Mi hai fatto voltare, e accorgere ancora una volta di come io sia. E di questo non ti ringrazierò mai abbastanza. Adesso il resto spetta a me, ma questa è un’altra storia.
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