Tentar (un giudizio) non nuoce

Anche in Uzbekistan si possono costruire ponti

Di Raffaele Cattaneo
16 Giugno 2025
Impressioni dopo la visita nel paese asiatico con una delegazione lombarda. In un clima di grande collaborazione con incontri significativi

Se è vero, come è vero, che nel mondo stanno rapidamente cambiando gli equilibri globali, dobbiamo capire bene cosa sta accadendo e dove dobbiamo guardare, anche per stabilire nuovi legami e cogliere nuove opportunità.

L’Asia centrale è un territorio vasto, diviso in cinque Stati indipendenti dal 1991, abitato da popoli diversi: Uzbeki, Kazaki, Tagiki, Azeri, Turcomanni, Kirghisi, accomunati da una storia simile, da lingue turche (a parte i Tagiki) e culture simili, legati dall’appartenenza religiosa all’islam e dalla memoria di figure unificatrici come Gengis Khan e Tamerlano. Ai tempi dell’Unione Sovietica tutto questo territorio è stato diviso in Stati Nazionali con confini tracciati a matita sulla mappa, non sempre rispettosi delle identità e delle caratteristiche dei singoli popoli. Ma sotto l’ombrello dell’Urss le identità e le differenze non erano tollerate.

La nuova Via della Seta

Oggi questa parte del continente asiatico, rimasta chiusa al resto del mondo per lunghi decenni e per un certo tempo anche dopo la fine del blocco sovietico, si è finalmente aperta alla collaborazione, agli investimenti e agli scambi con l’estero. Naturalmente la prima ad approfittarne è stata la Cina, che ha prontamente investito pesantemente in quest’area, anticamente attraversata dalla Via della Seta e dunque perfetta per la “belt and road initiative” del governo cinese cui, ai tempi del governo Conte, aveva aderito anche il nostro Paese. Inoltre, è rimasta una relazione strutturata con la Russia, in un rapporto non sempre lineare, ma certamente al momento indissolubile. Ora finalmente si sta muovendo anche l’Europa, con iniziative come la presenza diretta dei vertici della Commissione Europea e di capi di Stato e di governo, tra cui pochi giorni fa Giorgia Meloni e precedentemente anche il Presidente Mattarella. Del resto, questo è il territorio che fa da “cuscinetto” fra l’Europa e l’Asia più profonda: l’India, la Cina e la parte asiatica della Russia. Dunque è un’area che l’Europa non può ignorare nella ridefinizione degli equilibri geostrategici, politici ed economici del futuro.

La missione di Regione Lombardia

In questo contesto si colloca la missione in Uzbekistan che abbiamo fatto questa settimana come Regione Lombardia, capitanata dal Presidente Fontana e con la presenza di importanti stakeholder e qualche decina di imprese. Non la prima: la Lombardia era stata in Uzbekistan già nel 2019 e nel 2023 era venuto da noi in visita il loro Presidente. Nei 4 giorni, due nella capitale Tashkent e due a Samarcanda, oltre agli incontri ai massimi livelli politici e istituzionali — dal Presidente Mirziyoyev, al Vice Primo Ministro, al Ministro degli Esteri, degli Investimenti, della Salute, ecc. — abbiamo partecipato a due forum economici: quello internazionale di Tashkent, che ha visto la presenza di vari leader internazionali, e quello dedicato alla Lombardia a Samarcanda. Abbiamo inoltre sottoscritto varie intese per formare infermieri e personale sanitario, con la regione di Samarcanda per istituire una zona industriale speciale dedicata agli investimenti delle nostre imprese, e posto le basi per aumentare il numero di voli diretti con Milano, realizzare iniziative culturali condivise (a breve aprirà una mostra di opere uzbeke a Palazzo Reale), insediare centri tecnologici nel Paese — il primo lo aprirà Ucimu tra poche settimane per mostrare le potenzialità delle nostre macchine utensili.

Tutto ciò conferma le tante potenzialità che offrono questi Paesi e l’utilità e la concretezza delle nostre missioni all’estero.

Una presenza che trasforma l’umano

Quello che mi ha colpito di più, però, è stato il clima di grande amicizia e simpatia reciproca che si è creato con le persone, dal Presidente al più umile dei collaboratori. In un Paese islamico, dove però regna una grande tolleranza e non si percepisce, almeno nelle città, alcun segno di radicalizzazione, è stato sorprendente e bello constatare come costruire ponti e relazioni buone innanzitutto fra persone, anziché alzare muri e barriere, sia ancora non solo possibile, ma desiderabile da chiunque.

Così come mi ha colpito e fatto gioire l’incontro con i due sacerdoti argentini che gestiscono la Chiesa cattolica di Samarcanda, costruita nel 1916 e subito chiusa dai sovietici, poi riaperta nel 1992, rimasta senza preti e ora rinata grazie alla loro presenza. I loro volti sorridenti e accoglienti, quelli dei bambini dell’oratorio, sono stati il segno di una presenza che trasforma l’umano anche in questo angolo del mondo, perché davvero il cuore dell’uomo grida un desiderio di pace e di amicizia, ovunque e per tutti, a prescindere da religione, lingua, popolo o nazione cui si appartenga

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