Rassegniamoci: l’aborto è la prima causa di femminicidio al mondo

Di Aldo Vitale
16 Maggio 2018
Come possono alcune femministe essere contrarie ad un manifesto che cerca di sensibilizzare contro la prima causa di morte al mondo per il sesso femminile?


[cham_inread]
«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»: così recita il primo comma dell’articolo 21 della Costituzione italiana che sembra valere sempre per tutti e per tutto, tranne per coloro che, lontani da ogni apriorismo ideologico, sono soliti bazzicare la realtà per ciò che è e non per ciò che si vuole o disvuole che fosse.
La premessa pedante è pur d’obbligo data la speciosa vicenda che si sta registrando in questi giorni in cui alcuni gruppi di femministe stanno chiedendo a gran voce la rimozione di alcuni manifesti affissi per le strade della capitale su cui campeggia la seguente scritta: «L’ABORTO È LA PRIMA CAUSA DI FEMMINICIDIO NEL MONDO».
Posto il fatto, alcuni interrogativi sorgono spontanei: chi è contro il femminicidio, è contro qualunque tipo di femminicidio o soltanto contro alcuni tipi e non altri?
Chi predica in lungo e in largo, secondo la più diffusa odierna visione, la libertà personale, può accettare che se vi sono taluni liberi di essere favorevoli all’aborto, vi possano anche altri liberi di essere all’aborto contrari?
Chi accetta le campagne culturali per l’emancipazione della donna tramite gli incentivi all’aborto difende una libertà meramente ideologica, cioè parziale e dunque fittizia, o generale e reale, garantendo altresì il diritto degli altri che l’aborto non condividono di mettere in pratica altrettante campagne culturali non già contro le donne, ma in favore della vita?
Se si vive in un’epoca in cui la verità oggettiva non esiste e tutto è opinabile, perché l’opinione di chi è contro l’aborto – per motivi etici, giuridici, filosofici o religiosi – dovrebbe essere censurata rispetto all’opinione di chi invece milita in favore dell’aborto medesimo?
A parte i suddetti quesiti, ai quali forse mai si troverà una risposta razionale perché non razionale è chi dovrebbe rispondere, sembra davvero grottesco che siano proprio le femministe a protestare contro un manifesto che rivela assolutamente il vero, se è vero, come infatti è vero, che l’aborto è la prima causa di femminicidio al mondo, a prescindere dalla propria mentalità pro choice o pro life, secolare o religiosa.
Tra le tante prove in questo senso, che parlano ben più di un semplice manifesto, il quale peraltro non appare contrario a norme imperative, ordine pubblico o buon costume non essendovi quindi motivo alcuno (a parte l’eventuale abuso di una amministrazione liberticida e fuori dal diritto e dalla realtà) che legittimi la sua rimozione, si possono citare, tra i tantissimi esempi, due articoli pubblicati sulla notissima e prestigiosa rivista scientifica internazionale The Lancet, già nel 2006 e ancora nel 2011  in cui si dimostra il notevole squilibrio, in Paesi asiatici come l’India, tra il numero di maschi e quello delle femmine a causa del sempre crescente numero di aborti selettivi con cui si abortiscono maggiormente i feti femminili rispetto a quelli maschili.
Già nel 2006 il progressista giornale inglese The Guardian denunciava il fatto che in India mancassero all’appello ben 10 milioni di donne i cui feti erano stati abortiti in quanto donne.
Anche il progressista e liberal The New York Times riprese, oltre oceano, la notizia sulla tragedia dei numeri di quelli che, in considerazione dell’immensa entità del fenomeno e delle motivazioni che lo sorreggono, possono ben definirsi come veri e propri femminicidi, anzi atti continui di un vero e proprio disegno genocidiario che da decenni si sta consumando proprio a scapito del sesso femminile.
Come possono, dunque, alcune femministe essere contrarie ad un manifesto che cerca di sensibilizzare contro la prima causa di morte al mondo per il sesso femminile? Tra la difesa della vita delle donne e la difesa ideologica dell’aborto dovrebbe forse prevalere quest’ultima? Tra la realtà delle cose e del mondo e l’ideologia femminista, dovrebbe davvero prevalere questa seconda?
Lo stupore, tuttavia, viene meno nel momento in cui un pensiero malevolo, ma per questo probabilmente vero, come un lampo nella tempesta, balena nella mente, lasciando presagire il fatto che forse tra costoro che pretendono di censurare il manifesto che denuncia la prima causa di morte al mondo per le donne, militino alcune di quelle stesse figure “eroiche” che propugnano la commercializzazione più brutale del corpo femminile chiedendo la legalizzazione dell’utero in affitto.
In conclusione, a tutti coloro che vogliono censurare il suddetto manifesto, totalmente accecati dalla propria furiosa ideologia che loro cela perfino la realtà, possono ben adattarsi le riflessioni di Nicolas Gomez Davila per il quale «le ideologie sono state inventate perché potesse avere opinioni chi non pensa».
[cham_inread]

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.