
Barbi (Pd): «L’azione della procura milanese è spaventosa. Ritornare all’immunità parlamentare è il male minore»
Pubblichiamo la lettera che Mario Barbi, deputato ulivista del Pd, ha inviato a tutti i colleghi nella quale si domanda se un eventuale ritorno all’immunità parlamentare non costituisca «il male minore». La lettera è stata scritta il 21 gennaio scorso ma, come dice lo stesso Barbi, «anche se la riflessione è un po’ datata ritengo che mantenga la sua validità e per questo mi decido ora a diffonderla, nella speranza che apprezziate nel modo appropriato considerazioni svolte tutt’altro che a cuor leggero e frutto di un sincero turbamento di coscienza».
La condotta di Berlusconi è disdicevole. E’ – e dovrebbe essere considerata – inappropriata e incompatibile con il suo ruolo pubblico e con la carica istituzionale che ricopre. Lo sapevamo. Non lo sappiamo da oggi. E questo (ri)emerge con certezza dalle carte dell’indagine di Milano. Avevamo bisogno di un’indagine così per saperlo? Il fine dell’indagine è farci sapere questo? Si dice che Berlusconi in un altro paese si sarebbe dimesso. E’ vero, e da molto tempo. In molti paesi sarebbe stato così.
Ma ciò sarebbe accaduto non per iniziativa dei giudici, bensì per la sanzione unanime e immediata dell’opinione pubblica e della società civile: un giudizio seguito da una “sanzione” applicata in modo indipendente da qualsiasi considerazione politica e basata unicamente su criteri condivisi di etica pubblica. E’ l’opinione pubblica ed è la società civile che fissano i principi della moralità pubblica e le regole di condotta a cui debbono attenersi uomini politici e detentori di cariche istituzionali. Da noi invece il principale quotidiano del Paese commenta con cautela mentre un editorialista evoca come risolutivo un intervento della chiesa: ma il direttore di quel giornale dove è? In vacanza? Vale anche per i direttori degli altri maggiori quotidiani del Paese. I direttori dei giornali che si dichiarano “indipendenti” e che tacciono lasciando la parola alle varie opinioni di tanti e diversi commentatori. Anche questa debolezza e questa timidezza della società civile e dell’opinione pubblica emergono con chiarezza dagli effetti dell’inchiesta di Milano.
La condotta del premier è riprovevole, ma spetta ai giudici il presidio di moralità? I magistrati debbono perseguire i reati. Allo stato, dalle carte di cui si ha notizia, non risulta che il reato (i reati) sia(no) provato(i) e conclamato(i). Non ci sono denunce di parti lese, non ci sono confessioni o testimonianze univoche. C’è la dimostrazione di una condotta dissoluta, resa pubblica tramite gli atti dell’indagine. Un’indagine straordinariamente invasiva, messa in atto con uno straordinario dispiego di mezzi e mettendo in conto (o perseguendo?) il dibattimento mediatico degli atti con conseguente sputtanamento – per proprietà transitiva e sillogismo aristotelico – dell’intero paese. Ma quale è il fine dell’indagine: perseguire e provare il reato o mettere in evidenza una condotta dissoluta? Quale è l’obiettivo del processo: dare scacco-matto all’imputato principale, con l’avocazione della competenza ed il rito abbreviato, o fare giustizia in un normale processo? E sulla competenza: non c’è forse stata una certa disinvoltura procedurale?
Se si va per il sottile nel distinguere tra il ruolo di presidente del Consiglio e l’azione del cittadino Silvio Berlusconi, solo accidentalmente presidente del Consiglio, con il risultato di incardinare la competenza per concussione a Milano, come si può poi andare alla sostanza dicendo che il quadro generale (la dissolutezza) dimostra ciò che non è provato in modo particolare (il reato specifico). Ma come fa a reggere la distinzione tra funzione e qualità di Presidente del Consiglio che agisce per interesse privato (del cittadino) e tenere insieme in piedi l’imputazione di concussione sulla questura di Milano? Berlusconi può avere concusso il questore solo come Presidente del Consiglio (e in quel caso la competenza non è di Milano), mentre se ha fatto pressioni sul questore come privato cittadino e fosse stato commesso un reato, a commetterlo sarebbe stato il Questore, il quale potrebbe difendersi accusando il presidente del Consiglio di concussione: e si ritornerebbe al punto di partenza. E anche se si ammettesse che, appropriatamente, la procura di Milano agisce a tutela del Questore, al di là della stessa volontà dell’interessato (in quanto “inerme” dinanzi al presidente del Consiglio), in difesa delle istituzioni, sarebbe accettabile che ciò avvenisse in violazione delle regole procedurali e di garanzia che attribuiscono la competenza al “tribunale dei ministri”? Ma la forma non è sostanza? (*)
Ciò premesso, dovrebbe essere un punto fermo che i magistrati non debbono occuparsi di moralità e debbono rispettare rigorosamente la distinzione tra reato e peccato. Moralità e legalità sono due cose distinte. La moralità pubblica può essere più esigente della legalità, ma non sono i giudici che ne fissano le regole e meno che meno sono loro che debbono farla rispettare con gli strumenti dell’indagine giudiziaria e dell’azione penale. La dissolutezza è biasimevole – persino repellente – e non si attaglia a un uomo pubblico, almeno ai nostri tempi e nella nostra civiltà. Tuttavia, la dissolutezza, di per sé, non è un reato. Perché sia un reato devono esserci parti lese, denunce e prove… Diversamente, non spetta alle procure e ai giudici fare rispettare regole di moralità (privata e pubblica) ed ergersi a censori delle condotte individuali o dei detentori di cariche istituzionali.
I giudici della moralità pubblica sono la pubblica opinione e la società civile. Non c’è giudice che possa assolvere questo compito. Non c’è incorruttibile che non possa essere corrotto dalla sua stessa incorruttibilità. Lo zelo non è forse una sostanza che si presta a corrompere gli incorruttibili? Non c’è buona intenzione che tenga. Non c’è giudizio sostanziale che tenga. Nessun procuratore o giudice dovrebbe essere nemmeno sfiorato dal sospetto di agire secondo un pregiudizio e seguendo un’intuizione: “seguire l’intuizione in una indagine ha il difetto di portare l’investigatore a vedere solo i fatti che la confermano”, dice un attore che interpreta il ruolo di un agente segreto nel thriller americano “the sentinel”.
Affidare ai magistrati ed ai loro poteri la custodia della moralità produce incubi totalitari e un mondo peggiore di ogni individuale dissolutezza (suggerisco di riflettere sulle “società perfette”, come la Ginevra reale di Calvino o quella romanzata di Howthorne). Se la condotta di Berlusconi è riprovevole, l’azione della procura milanese è spaventosa e suscita più di un timore per l’ingerenza nella sfera politica, per la presuntuosa supplenza della società civile e per l’allarmante scivolamento di funzione dal “presidio di legalità” al “presidio di moralità”.
Di tutto questo però nel Pd non si parla. Né vi si può nemmeno fare cenno. Perché l’imperativo è sempre e solo uno: liquidare Berlusconi, con ogni mezzo, non importa con quale mezzo! Non importa che i mezzi si ritorcano sui fini. Ora siamo tutti allineati dietro l’ultima arma finale. Non importa che le procedure vengano interpretate disinvoltamente. Non importa che la politica venga sospesa e zittita. Conta il fine. Con ogni mezzo. E se l’arma finale sparasse il colpo in aria e rimanessimo travolti dal rinculo? Mi chiedo allora se per potere affrontare Berlusconi politicamente (e sconfiggerlo) alle elezioni, togliendogli ogni alibi e privandolo di alleati che finora gli sono stati essenziali – intendo dire alcuni pm – non converrebbe allora tornare all’immunità parlamentare pre-’93? Sarebbe forse il male minore.
(*) A proposito della competenza sull’ipotesi di reato di concussione, ho raccolto nei giorni scorsi diverse opinioni: (1) Giovanni Pellegrino, in un’intervista a “la Discussione” (20.01.11) così riassunta dal giornale “le solite forzature: intercettazioni a non finire, squadre intere di poliziotti schierate. E’ una storia vecchia… Berlusconi però se l’è cercata. Ha servito il piatto in tavola alla Boccassini”, poi viene citato testualmente: “Personalmente non mi sarei andato a ficcare nell’impasse del Tribunale dei Ministri. Questa sottile distinzione tra abuso di funzione e abuso di qualità. Avrei rinviato al Tribunale dei Ministri, che del resto è composto da magistrati i quali, se avessero deciso che bisognava andare a processo, avrebbero innescato un voto della Camera. L’unico che poteva salvare Berlusconi dal processo. Sarebbe stato un bel momento per verificare se effettivamente quota 316 è stata raggiunta a meno”.
(2) Gustavo Zagrebelsky, in un’intervista a “il Fatto Quotidiano” (20.01.11), sull’eventuale competenza del Tribunale dei Ministri dice: “Sì, qualcuno si è inventato questa tesi e l’ha messa in giro da qualche giorno. Bisognerebbe dimostrare che intervenire nella procedura di affidamento di un minore fermato rientra nelle funzioni di presidente del Consiglio dei ministri. Non basta che il reato sia commesso mentre l’indagato è in carica come Primo ministro. La Costituzione sennò sarebbe stata formulata così: “per tutti i reati commessi durante il mandato dei ministri e del presidente del Consiglio…” Invece si parla di “esercizio delle proprie funzioni”. Vuol dire che, durante il mandato, i membri del governo possono commettere due tipi di reato: comuni e afferenti alle competenze. Ma l’esercizio delle funzioni del presidente del Consiglio consiste in atti politici. Non in atti finalizzati a coprire le proprie magagne personali”.
(3) Su Internet (www.unirsi.it/ricerca/dip/dir…/decimalezione.htm) si trovano gli appunti di lezioni di diritto costituzionale di Paolo Barile, che, sul tema della “responsabilità ministeriale”, avrebbe tenuto il seguente insegnamento con specifico riferimento a quella penale: “La responsabilità PENALE: (art. 96 C.”…….”; completato dalle leggi costituzionali n.1 e n.219 dell’89) (…) I reati di cui parla l’art.96 C. sono REATI COMUNI, che hanno, però, una particolare colorazione politica; cioè, sono reati comuni commessi (più che nell’esercizio delle pubbliche funzioni), GRAZIE alla presenza di quelle funzioni. Insomma, sono reati comuni che potevano essere commessi soltanto da persone che fossero ministri; perché, se fossero stati privati cittadini, in pratica, non avrebbero potuto commetterli. Per i reati ministeriali, la notitia criminis viene raccolta dal Procuratore della Repubblica e trasmessa, immediatamente, omessa ogni indagine, a un COLLEGIO SPECIALE, istituito presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte di Appello competente per territorio. Tale collegio, entro 90 giorni, compiute indagini preliminari, e sentito il p.m., dispone l’ARCHIVIAZIONE, oppure, TRASMETTE gli atti, con relazione motivata, al Procuratore della Repubblica, per l’immediata rimessione al PRESIDENTE DELLA CAMERA COMPETENTE; il Presidente invia alla Giunta per le autorizzazioni; la giunta riferisce all’Assemblea, con relazione scritta. L’Assemblea può, a maggioranza assoluta dei suoi membri, negare l’autorizzazione a procedere… oppure concederla; in tal caso, il processo penale fa il suo corso dinanzi a quello che è stato chiamato “Il tribunale dei ministri”.
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