
Storia, aneddoti e amori dell’imprenditore più longevo d’Italia: «Ci mancherebbe che smetto di lavorare»

Pastificio Moderno, Foggia. A quest’indirizzo, ogni mattina presto, dal 1945, si reca ancora oggi Armando Mazzocchi, 84 anni. Con 70 anni di attività ininterrotta nel suo pastificio che festeggia proprio in questi giorni, Mazzocchi è uno dei più anziani imprenditori-artigiani d’Italia, forse l’unico ancora al timone della propria azienda. Ha iniziato a 14 anni, nel dopoguerra, quando Foggia era quasi rasa al suolo dai bombardamenti.
Parlare con Mazzocchi è un’altra impresa, perché lui vuole lavorare e coi giornalisti gli sembra di «perder tempo». Dopo tante insistenze, però, ascoltarlo significa esser presi per mano per un viaggio. «Ho cominciato quasi per caso. Era il ’45, ma le scuole ancora non erano state riaperte. Allora mio papà, che di lavoro faceva il pastaio, mi portò a lavorare con lui. Avevo 14 anni, ma la passione per quel lavoro era già entrata dentro me. Forse scorre da sempre nel sangue. Io sono pastaio a Foggia, ma la mia famiglia originaria di Torre Annunziata è da 250 anni che lavora nei pastifici. E adesso anche i miei 9 figli sono pastai. Uno dei primi ricordi che ho da bimbo era guardare mio papà lavorare, è così che ho imparato: allo stesso modo ho insegnato questo lavoro ai mie figli, e sono fiero che loro proseguano. Proprio come mio bisnonno, e mio nonno, a loro volta hanno insegnato ai figli. Ci vuole una conoscenza molto precisa sia dei prodotti, bisogna conoscere i grani e le loro qualità, così come le lavorazioni che permettono di seccare la pasta in modo naturale, senza sostanze chimiche. Anche oggi, io proseguo con una lavorazione della pasta secca puramente artigianale. Ma sinceramente la ricetta principale è la passione. È quella, che ti scorre nelle vene, che permette di fare la differenza. A Torre Annunziata quando ero bimbo io c’erano 160 pastifici: la pasta italiana è nata lì, come me. E poi da lì siamo stati noi italiani, come i grandi condottieri di un tempo, a portarla in tutto il mondo. Dovremmo esserne più orgogliosi».

ALLA CONQUISTA DELLA MASSAIA. Mazzocchi era bravo nel suo lavoro, e ben presto si è messo in proprio. Ma all’epoca in Puglia le orecchiette e i troccoli (i maccheroni, nel dialetto locale) tutte le brave massaie sapevano farseli in casa, e per lavorare Mazzocchi ha dovuto conquistarsi la loro fiducia. «Foggia a quel tempo era una città povera, di contadini, che erano molto diffidenti verso un pastaio. Io lavoravo mettendo in atto la tradizione della mia famiglia. La pasta veniva fatta seccare, e in particolare la asciugavamo con dei rastrelli. Stendevamo per terra dei teloni, e la facevamo asciugare al sole, dopo un paio di ore la giravamo man mano coi rastrelli. Poi la portavamo in delle grandi celle con dei ventilatori. Ecco, con questo metodo non industriale nel mio negozio c’era della pasta secca, che rimaneva fresca come se fatta nello stesso istante. La mia pasta è diventata famosa». Negli anni l’impresa è cresciuta: fino a cinque anni fa, contava tre stabilimenti in zona, e dava lavoro a circa 50 operai, sempre con lo stesso metodo di essicazione esclusivamente artigianale.
«OGGI MANCA LA FAME». Commenta Mazzocchi: «Siamo arrivati a fare 600 quintali di pasta al giorno. Ora stiamo proseguendo, ma per la crisi ci siamo dovuti ridurre nei numeri. Abbiamo solo uno stabilimento, dove lavoriamo solo noi di famiglia, siamo in sette. E facciamo 30 quintali di pasta, ma in un mese. Però andiamo avanti. Secondo me, di tutte le epoche della storia recente del nostro paese che mi è toccato vivere, questa è la più difficile». E forse non è casuale, per un pastaio, accorgersi che ciò che nell’ultima crisi che l’Italia attraversa, ciò che è venuto meno di più «è la fame. Nel ’45 scappavamo dalla guerra, soffrivamo la fame. Ma ci siamo tutti rimboccati le maniche, e abbiamo creato davvero una ricchezza. Da paese agricolo siamo diventati una delle prime potenze del mondo, ho visto un risorgimento vero degli italiani. Oggi non vedo questa stessa fame di lavorare e creare. Si dice che siamo una società consumista, ma io più che altro vedo distruzione. Distruggiamo quello che creiamo. Persino le aziende dei padri sono spesso distrutte dai figli. Noi siamo tornati ad essere in sette, come quando ho cominciato. Però certo che vado avanti, mi sento ancora un ragazzo, ci mancherebbe che smetto di lavorare».
«L’AMORE DELLA MIA VITA». Nel 1946, passeggiando per le strade di Foggia, gli occhi di quel giovanotto alto, tra un cantiere che ricostruiva e un altro, si sono soffermati su un bel visino. Appartenente a Michelina, due anni più piccola: «Era stupenda, aveva gli occhi azzurri, i capelli castani lunghi, come delle onde meravigliose. Mi innamorai subito. C’erano tante donne, ma io non vedeva nessun’altra. Solo che lei aveva una madre molto severa, tutti la conoscevamo come la “Carabiniera”. Insomma, io e Michelina abbiamo dovuto farne parecchie per frequentarci, e alla fine per riuscire a sposarci. Dopo tre anni che c’eravamo incontrati è nata la prima dei nostri nove figli. E Michelina subito dopo è tornata al pastificio, perché anche lei era bravissima in questo lavoro. Mi ha aiutato e sostenuto tantissimo, a volte portando avanti l’attività anche da sola. Michelina è stata la donna della mia vita, abbiamo festeggiato insieme 50 anni di matrimonio. Quel giorno, al ristorante, tra i nostri figli e i nipoti eravamo 50 persone, non lo dimenticherò mai. Michelina si è ammalata due mesi dopo la festa, e pochi mesi dopo è morta».

«I MIEI MODELLI? COLOMBO E VESPUCCI». Ci sono state molte volte, nel corso della sua vita, in cui Mazzocchi ha preso ad esempio «i navigatori italiani» racconta, e così è riuscito ad affrontare i momenti difficili. C’è un perché. Qualche anno dopo l’avvio dell’attività e il matrimonio, Mazzocchi ha ricevuto una telefonata. «Era una grande azienda di Milano. Costruivano macchinari per i pastifici; avevano sentito parlare di me. Mi chiesero di lavorare con loro, per l’esattezza avrei dovuto collaudare e montare le loro macchine per pasta secca in Sud America. Mi si aprì un mondo: io che il viaggio più lungo che avevo fatto era stato dalla Campania alla Puglia (ed ero fortunato, molti all’epoca non si spostavano nemmeno dal paese dov’erano nati), ora mi trovavo ad andare in Argentina, Cile, Colombia, Venezuela. Attraversai l’oceano a bordo della nave Amerìgo Vespucci. Mentre navigavamo, il mare arrivò a forza otto. La nave pesava molte tonnellate ma in quelle acque agitate sembrava un guscio di noce. Allora pensai ai grandi navigatori italiani e ai condottieri. Colombo, Vespucci, nel ‘500 loro quegli oceani li avevano attraversati per la prima volta davvero con delle imbarcazioni che sembravano gusci di noce, rispetto a quelle moderne. Eppure, che coraggio avevano avuto, erano andati in terre sconosciute. Perciò quando mi nacque un’altra figlia l’abbiamo chiamata Amerìca, ricordando quei navigatori coraggiosi che sapevano affrontare ogni tempesta nella vita. In Sudamerica ci pagavano a peso d’oro, per le nostre capacità e competenza: noi italiani dovremmo essere più consapevoli di chi siamo. In Venezuela incontrammo molti italiani emigranti, e lì compresero subito che eravamo diversi da tutti gli altri produttori di pasta, perché la pasta che producevamo noi era davvero di qualità. In Colombia, per gli stessi motivi, addirittura mi premiarono. Conservo ancora la pergamena della Federazione nazionale colombiana dei pastai, un riconoscimento “Al signor Mazzocchi, direttore tecnico che ha un’alta capacità tecnica, e uno straordinario attaccamento al lavoro. Rilasciamo quest’attestato per il suo lavoro a servizio del nostro Paese, e non di un singolo pastificio”. Quella americana è stata una bella attività, durata altri nove anni, poi ho proseguito a Foggia. Ora scusate, ma devo proprio tornare a lavorare».
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1 commento
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L’ uomo praticando il lavoro si realizza. Incontra la moglie , l’America ecc. Poi non perde tempo e torna a lavorare. Questo è un uomo che cerca e che ha trovato. Grazie