
Don Stefano, parroco di Lampedusa: «La gente aiuta gli immigrati spontaneamente ma nessuno lo dice»
«Vuole sapere come stanno davvero le cose? Quello che vedo a Lampedusa è il ripetersi della storia di San Martino e il mantello. Il santo era un cavaliere nobile, un giorno incontrò un povero, completamente nudo: e allora prese il suo mantello e lo divise a metà per rivestirlo. A Lampedusa con i magrebini che sbarcano ogni giorno sta succedendo questo». Fotografie di vita quotidiana nell’emergenza inviate da don Stefano Nastasi, parroco dell’unica chiesa dell’isola, San Gerlando, che raccontano la sua terra in modo diverso dalle righe delle cronache.
«La situazione è stazionaria, anche adesso che la San Marco ha iniziato a traghettare verso la Sicilia i primi clandestini» racconta don Stefano: «ma per ogni partenza ci sono nuovi arrivi. Da oggi c’è un presidio della Regione siciliana, in giornata verrà anche l’assessore della sanità Massimo Russo» spiega, riferendosi all’avvio della campagna di screening per la tubercolosi, appena avviata dalla Regione in triangolazione con i ministeri della Salute e dell’Interno, all’interno di un piano sanitario articolato anti emergenza. Nell’ultima nottata sono sbarcati sull’isola 494 immigrati prevalentemente tunisini: tra questi, 82 ragazzi su un barcone che stava per affondare.
Intanto la nave della marina militare San Marco, oggi (25 marzo) procede all’imbarco di altre 500 persone che verranno condotti in altri centri di accoglienza. «Il presidio della Regione – prosegue don Stefano nel suo racconto – in ci darà indicazioni per affrontare la situazione. Purtroppo altre strutture di accoglienza non ce n’è, anche noi stessi, in parrocchia, abbiamo dovuto usare tutti gli spazi che abbiamo. Su 200 metri quadri, abbiamo ospitato 50 minori, per tutelarli dalla mischia dei grandi. Nel caos della corsa alla sopravvivenza, infatti, sono i minorenni a rischiare di più, anche solo di non trovare da mangiare».
Quella dei minori, è in effetti un’emergenza nell’emergenza attuale. Secondo dati diffusi dalla ong Terre des hommes sono 270 i minori oggi presenti sull’isola: «Sono ragazzi tra i dieci e i 17 anni, e arrivano qui da soli, abbandonati a sé stessi e alle onde. Perciò ci occupiamo di tutelarli con cura anche maggiore». Ma, quasi un filo di luce sorprendente, il racconto di don Stefano prosegue raccontando un’intera isola impegnata in prima fila per affrontare il disagio degli immigrati e dar loro la maggiore assistenza possibile.
«C’è una cooperativa che gestisce gli approvigionamenti alimentare: loro hanno derrate per mille persone, ma devono bastare per cinque mila. Così sono stati i lampedusani a provvedere. Chi può ci dona denaro per comprare abiti e coperti, o altrimenti cibo.Vedo episodi nuovi ogni giorno. Ieri sera, ad esempio, ero al porto, la zona dove si stanno accampando la maggiorparte degli immigrati. E ad un certo punto ho visto alcuni di fronte ad un fuoco, che arrostivano del pesce e mangiavano insieme. Mi sono fermato a chiacchierare: e mi hanno raccontato che i pescatori lampedusani avevano regalato loro il pesce, appena rientrati dalla giornata di lavoro. Ma questa non è un’eccezione, è la prassi: ieri ho visto con i miei occhi un pescatore che aveva raccolto dieci cassette di pesce. Appena sbarcato, ne ha donate cinque agli immigrati. Non è facile dare un resoconto preciso di ciò che sta avvenendo. L’altra notte ho visto una signora dell’isola che ha tagliato una coperta matrimoniale, per regalarla a due persone. Da Venezia, è scesa una coppia che è rimasta con noi in parrocchia alcuni giorni, appositamente per aiutarci: hanno condiviso con gli sbarcati qualsiasi cosa avevano. Ho scoperto che hanno pure rinunciato a rinnovare l’abbonamento Sky, per donare qualcosa in più».
«Molti lampedusani portano gli immigrati in casa propria, per fare la doccia. Al centro di accoglienza ci sono 80 docce, loro sono cinquemila, si immagini la situazione. Così i lampedusani li vanno a cercare e li portano a casa propria, li fanno lavare e mangiare. Nei panifici ogni giorno fanno appositamente maggiori quantità di pane, per lasciarne una parte a disposizione per le donazioni: quando si va a fare la spesa, gli isolani ne comprano apposta un po’ di più da regalare».
È il resoconto dimenticato dai media dell’isola. Ma allora la rabbia, le proteste di cui si sono viste le immagini ai tg? «La protesta è stata contro il governo. La gente è stata contrariata dai ritardi di chi deve condurre la macchina dei soccorsi. È tutto organizzato dal ministero dell’Interno, e di norma funziona, ma ora ovviamente la macchina degli aiuti è stata sfasata per i numeri. C’è gente che sta in giro fuori, accampata all’addiaccio al porto, e di conseguenza è difficile gestire la situazione. C’è da dire che i lampedusani sono arrabbiati anche per come viene interpretata malamente la loro rabbia. Loro non ce l’hanno con gli immigrati, gliel’assicuro. Nei giorni passati è uscito sui giornali l’episodio di protesta di qualche isolano: ma io stesso ho incontrato quella persona al porto, la sera della famosa protesta. Sa che è successo? Piangendo mi ha detto: “Mi creda non ce l’ho con loro. Non ce l’ho con loro”. Siamo sotto pressione: sfido chiunque a stare qui 40 giorni in queste condizioni, pur cercando di fare di tutto per aiutare queste persone poi cozziamo contro il silenzio delle istituzioni, come un muro. Adesso qualcosa si sta smuovendo per fortuna, speriamo bene, così da poter continuare. Si è parlato di emergenza idrica. Per il momento l’acqua potabile c’è. Ma siccome di solito arriva con appovigionamenti mensili, tramite nave militare, si teme che la solita razione non basti per tutti. Per ora non vedo un problema in termine di allarme, ma magari ulteriori approvvigionamenti permettono di prevenire altri problemi».
A Lampedusa, dice don Stefano, hanno imparato a combattere anche nella quotidianità più spicciola («Ma lo sa che da un anno non arrivano i quotidiani nazionali? Repubblica, Corriere, Giornale… e chi li legge? Siccome le tasse per i trasporti sono troppo alte hanno rinunciato ad informarci. È la prassi). Perciò nella gara a prevenire l’emergenza, d’istinto i lampedusani hanno preferito rimboccarsi le maniche. E dividere ciò che hanno: e non hanno intenzione di smettere.
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