
Tito Boeri: «L’Italia non è un paese per i giovani»
Sono diminuiti del 10% nel 2010 i contribuenti di età compresa tra 15 e 24 anni. Si tratta di circa 200 mila giovani che non denunciano più un reddito al fisco. E’ quanto emerge da una lettura delle dichiarazioni dei redditi del 2010, relative ai redditi 2009, diffuse nei giorni scorsi dal Dipartimento delle Finanze.
I contribuenti minori di 25 anni, una fascia particolarmente debole sul mercato del lavoro, con un tasso di disoccupazione che ha raggiunto il 29,4%, sono passati dalle 2.004.624 unità delle dichiarazioni 2009 alle 1.802.860 del 2010. Ne abbiamo parlato con Tito Boeri, professore ordinario di Economia del lavoro, dell’Università Bocconi e direttore scientifico della Fondazione Rodolfo Debenedetti, che promuove la ricerca nel campo della riforma dei sistemi di welfare e dei mercati del lavoro in Europa.
Prof. Boeri, l’andamento della disoccupazione giovanile pare piuttosto rilevante. A che cosa si deve questa situazione?
Il tasso di disoccupazione giovanile è molto più alto rispetto a quello di altre fasce d’età, il rapporto di chi ha meno di 25 anni rispetto alle altre è di circa 3 volte e mezza. A cosa si deve? A diverse circostanze che fanno dire che il nostro non è un paese fatto per i giovani. Innanzitutto c’è stato un sistematico disinvestimento nella scuola e nell’Università, i dati dell’edilizia scolastica mostrano che ci sono scuole fatiscenti, posti dove mandiamo i nostri figli in cui ci sono stati incidenti anche mortali, e dove, comunque, le attività didattiche, in questo contesto, si svolgono con difficoltà. Nelle università poi si sono concentrati i tagli della spesa pubblica durante la recessione, a differenza di quanto avviene altrove dove, in caso di recessione, si investe in formazione per prepararsi meglio al dopo recessione. In secondo luogo c’è un mercato del lavoro che ha regole tali che penalizza in partenza i giovani che oggi possono entrate nel mercato solo dalla porta secondaria dei contratti temporanei e del parasubordinato e quindi, non ricevendo formazione in azienda, rimangono ai margini del mercato e sono destinati a venire espulsi quando le cose vanno male. Questo spiega perché la disoccupazione giovanile è cresciuta tanto.
Cosa ne pensa dell’apprendistato come strumento principale di ingresso nel mercato del lavoro come propongono il Ministro Sacconi e il suo consigliere Tiraboschi?
Ci sono molti contratti che hanno un contenuto formativo solo sulla carta, perché non ci sono i controlli sullo svolgimento della formazione in azienda. Ad esempio, gli stage dovrebbero avere un contenuto formativo ma nascondono prestazioni di lavoro: ci sono stage anche per cassiera di supermercato dove la fase di apprendimento credo sia molto rapida. Quindi non credo che scrivendo semplicemente una norma in cui si stabilisce che ci vuole più formazione questo avvenga. Le cose non sono così semplici ma bisogna incentivare i datori di lavoro a formare i propri dipendenti. La strada per farlo credo che sia la stipula di contratti a tempo indeterminato benché nel primo periodo un eventuale licenziamento non dovrebbe avere gli stessi costi che ha oggi. Quindi si dovrebbero prevedere tutele crescenti nel tempo, in modo da incentivare il datore a stipulare immediatamente contratti a tempo indeterminato. In questo modo il datore avrà l’incentivo per formare i giovani, perché normalmente i datori di lavoro investono nei giovani in modo che siano ripagati tutta la vita da questo investimento. Mentre un giovane assunto con un contratto a tempo determinato non è sottoposto ad un investimento nella sua formazione. Il datore che assume a tempo indeterminato e investe nella formazione del giovane, difficilmente si priverà con facilità di quella risorsa perché perderebbe l’investimento.
La somministrazione a tempo indeterminato pare sia in forte crescita. Ritiene che possa essere uno strumento importante per delineare effettivamente un ordinamento di flexicurity?
Il lavoro interinale quando comporta un lavoro a tempo indeterminato con l’Agenzia è sicuramente meglio per le condizioni del lavoratore in merito alla sua sicurezza rispetto alla situazione selvaggia attuale in cui si hanno contratti a termine, in cui il rischio viene assunto dal lavoratore. Mentre in questo caso parte del rischio viene assunto dell’Agenzia per il Lavoro. È un modo più soddisfacente. Però le imprese hanno un costo maggiore e per ora preferiscono assumere a tempo determinato.
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