Le donne che contraggono il virus Zika durante i primi tre mesi di gravidanza hanno una probabilità «pari all’1 per cento» di partorire un bambino con la microcefalia. È questa l’ipotetica incidenza del rapporto tra Zika e microcefalia, secondo una ricerca appena pubblicata.
LO STUDIO. Lo studio comparso su Lancet, pur non dimostrando in modo scientifico che esista un collegamento tra il virus e la patologia (poiché «servono altri studi per affermarlo»), suggerisce un rapporto di causalità tra Zika e microcefalia ma ne riduce drasticamente l’incidenza. Un gruppo di ricercatori francesi ha indagato gli effetti del virus sulle donne incinte nella Polinesia francese, dove è cominciata un’epidemia di Zika nell’ottobre del 2013, terminata nell’aprile del 2014. Il 66 per cento della popolazione è stata infettata e durante il periodo di 23 mesi preso in esame (fino al luglio 2015) si sono riscontrati otto casi di microcefalia.
«FIGLI SANI AL 99%». Secondo i risultati, ripresi anche dal New York Times, una donna su 100 rischia di sviluppare un’anomalia del bambino. In cinque casi su otto, però, la gravidanza è stata interrotta da un aborto. «Questo significa che» una donna incinta che contrae Zika entro il terzo mese di gestazione «ha il 99 per cento di possibilità di avere un bambino normale», spiega Laura Rodrigues, esperta della London School of Hygiene & Tropical Medicine, che ha accompagnato lo studio con un editoriale.
BRASILE. Il virus portato dalla zanzara Aedes Aegypti è conosciuto in tutto il mondo da oltre 60 anni ed è nell’80 per cento dei casi asintomatico, ma è al centro delle attenzioni di tutto il mondo da quando il Brasile ha dichiarato che è stata l’epidemia di Zika ad aver fatto esplodere i casi di microcefalia nel nord-est del paese. Di conseguenza, organizzazioni internazionali come l’Oms hanno chiesto ai paesi dell’America Latina di legalizzare addirittura l’aborto per permettere alle donne di non far nascere bambini malati.
DATI REALI. Gli ultimi dati diffusi dal ministero della Sanità brasiliano, che ora ha iniziato un’indagine seria, ridimensionano il fenomeno. Dei 6.158 casi di sospetta microcefalia denunciati a partire da ottobre, ne sono stati verificati 1.927. Di questi, 1.182 sono stati scartati come false microcefalie e 745 confermati. Su 745 neonati con la microcefalia, solo 88 hanno presentato anche il virus Zika (quest’ultimo dato, il più importante, compare sempre nell’ultima riga dei lunghissimi rapporti del ministero). Finora, dunque, solo nel 4,5 per cento dei casi analizzati si è riscontrata la concomitanza di Zika e microcefalia. Ma concomitanza e causalità sono cose molto diverse.
«FALLIMENTO DEL SISTEMA SANITARIO». C’è comunque un dato di fatto anomalo. Nel 2014 il Brasile ha denunciato 147 casi di microcefalia su oltre tre milioni di nascite, per un tasso pari allo 0,004 per cento. Quest’anno, nella più catastrofica delle ipotesi, il tasso crescerà allo 0,36 per cento. Per quanto poco incidente, la crescita è enorme. I numeri però sono poco credibili: com’è possibile che il Brasile abbia “solo” 0,5 casi di microcefalia su 10 mila nascite, mentre gli Stati Uniti denunciano annualmente un numero che varia da 2 a 12 casi su 10 mila nascite? Secondo Salmo Raskin, docente di medicina genetica alla Pontificia università cattolica di Paraná, «il Brasile ha migliaia di casi non documentati ogni anno. Stupidamente, i numeri non vengono riportati e questo ovviamente impedisce di capire gli effetti dell’epidemia. Zika sta gettando una luce sui fallimenti storici del nostro sistema sanitario». Il Brasile, in sostanza, non ha un sistema di rilevamento valido e affidabile, perciò «l’aumento delle diagnosi appena registrato potrebbe essere dovuto più che altro alle maggiori ricerche».
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