Romanzieri ingenui e sentimentali è una guida per romanzieri e lettori, per il romanziere, che coopera alla creazione del testo letterario, nascosto in ogni lettore, e per il lettore, che costituisce il necessario doppelgänger, la proiezione di ogni romanziere, una delle tante apparenti contraddizioni che alimentano la scoppiettante vitalità dialettica della letteratura, secondo Pamuk.
Il volume raccoglie, in realtà, un ciclo di sei lezioni sul romanzo tenute dallo scrittore turco Orhan Pamuk a Harvard, che, intonate a un registro volutamente colloquiale, vertono su diversi temi: dal rapporto tra realtà e finzione alla ricerca del “centro segreto” dei romanzi. Quantunque Pamuk non nasconda le proprie predilezioni in fatto di opere narrative e sviluppi con coerente autorevolezza il proprio discorso sul genere letterario preso in esame, non appartiene alla falange di quanti amano disorientare il lettore con giudizi trancianti e fortemente idiosincratici e, se fa riferimento alla propria esperienza personale di romanziere e lettore (di nuovo!), è per aiutarci a comprendere il suo pacato argomentare (non aspettatevi impennate di ingegno o sintesi oracolari!) e autenticarlo con il proprio vissuto.
Il titolo trae spunto dal famoso saggio di Schiller sulla poesia ingenua e sentimentale, categorie che Pamuk applica ai romanzieri e ai loro lettori, individuando due classi distinte dei primi e dei secondi: i romanzieri consapevoli della propria strumentazione tecnica e retorica saranno “sentimentali”, mentre i narratori spontanei, allegramente ignari dei propri mezzi, saranno da considerarsi “ingenui”; ugualmente, i lettori capaci di studiare gli ingranaggi a orologeria di una narrazione ingrosseranno le fila dei “sentimentali”, mentre gli “ingenui” si limiteranno a immedesimarsi con i protagonisti e a farsi travolgere dai calcolati crescendo della trama senza accorgersi dello studio a essi sotteso. Le differenze non sono finite, però, e Pamuk si diverte a ritrarre, in relazione a ogni tematica, il diverso atteggiamento del sentimentale e del suo ingenuo alter ego, dimostrando come il migliore approccio scaturisca da una tensione tra i due poli.
Uno degli aspetti più interessanti riguarda la natura mistificatoria della letteratura, in generale, e del romanzo, in particolare, un tema scottante in tempi di meta-narrativa postmoderna, che Pamuk affronta con originalità dal duplice punto di vista dello scrittore e del fruitore. Secondo il romanziere turco, che nella sua produzione, affianca opere di solido impianto ottocentesco a sperimentazioni postmoderne, è legittimo e, direi, fondamentale che il lettore si domandi quanto ci sia di veritiero nei fatti raccontati e quanto la storia di un romanzo rifletta la diretta esperienza dello scrittore, come è fondamentale per chi scrive prevedere e, in parte, suscitare una simile curiosità. Il lettore ingenuo tenderà a rispondere alle precedenti domande, identificando il protagonista del romanzo o, più ragionevolmente, il narratore-personaggio, nel caso di una narrazione in prima persona, con il loro autore e sovrapponendo la fiction alla realtà, mentre il sentimentale (e qui la terminologia di Schiller diviene inadeguata) con una dose ragguardevole di cinismo estetico tenderà a rintracciare manipolazioni laddove non ci sono, fino al punto di imputare alla scrittura tout court una quintessenziale incapacità di trasmettere i fatti più elementari senza adulterarli (vedi il saggio Letteratura come menzogna di Manganelli). Il lettore ideale, come il romanziere ideale, dovrà essere, così, sia ingenuo sia sentimentale, disposto a credere reali i personaggi e le situazioni di un romanzo, quanto è necessario a immedesimarsi, e smaliziato nella giusta misura per godere della natura artificiosa della letteratura.
La prerogativa del romanzo è, per Pamuk, e non si può non essere concordi, di ammettere e di rendere funzionali delle contraddizioni, stigmatizzate dalla logica cartesiana, come la succitata contrapposizione tra realtà e finzione.
Non manca nelle lezioni di Pamuk una punta di anodina correttezza politica nel loro insistere sulla funzione della letteratura come mezzo di identificazione con il diverso e potenziale antidoto contro ogni forma di estremismo, un pestifero luogo comune, che contagia i discorsi di qualunque scrittore che aspiri a rivendicare per sé o per la propria corporazione una qualche statura morale.