Lynn Ferguson, scrittrice e presentatrice scozzese, «assolutamente e totalmente pro choice», si è scoperta incinta in età abbastanza avanzata, a 37 anni, e «improvvisamente, dopo 20 anni di egoismo edonista», nonostante i medici le abbiano proposto più volte di abortire per i problemi riscontrati al feto, «dissi di no, per me la possibilità non era nemmeno contemplabile». «Non era colpa del bambino, la responsabilità era mia», racconta la donna la sua storia all’emittente di New York The Moth.
SCONTRO CON I MEDICI. I medici cercarono in ogni modo di convincere Lynn a fare l’amniocentesi per verificare lo stato di salute del piccolo: «Più diventavano insistenti, più mi facevano pensare che avrei dovuto farla». Ma sapendo che la procedura diagnostica poteva danneggiare il piccolo o provocare un aborto, Lynn si oppose: «Forse che questo esame potrà dirmi se mio figlio sarà uno sciagurato?».
SINDROME DI DOWN. Alla 20esima settimana di gravidanza, l’ecografia rivelò un’anomalia: «Aveva una testa statisticamente grande. Poi guardando il cranio di mio figlio dissero che aveva delle cisti al plesso coroideo lungo una parete del cervello». Secondo i medici il bambino era affetto dalla sindrome di Down. «La sindrome di Down non era esattamente quello che avevamo pianificato. E sapevo che sarebbe stato probabilmente difficile affrontarla, per noi e per lui, in un modo che non sapevamo ancora». Eppure la fiera pro choice ha difeso il bambino così: «Essere Down non equivale certo ad essere delle brutte persone, vi sembra?».
«TE NE VAI VIA?». Quando i medici scoprirono che il bambino non aveva la sindrome di Down ma la trisomia 18, una malattia genetica presentata spesso come incompatibile con la vita, le consigliarono di abortire. Lynn fu informata che suo figlio sarebbe morto prima di nascere o appena nato e le chiesero di fare almeno un test invasivo per accertare definitivamente la malattia. Lei, però, si oppose ancora: cosa cambia sapere prima o dopo se mio figlio è malato? «Avevo già fatto molte ecografie e mi bastavano. Avevo visto il cuore di mio figlio. Avevo guardato dentro i suoi occhi. Avevo visto le sue mani e i suoi piedi: in un’immagine teneva la mano alzata verso la parte anteriore del mio corpo come per dirmi: “Te ne vai via?”». I medici insistettero nuovamente per l’aborto ma Lynn non fece una piega: «Moriremo tutti. Ma prima è meglio incontrarsi». «Mio figlio aveva bisogno di me», «dipendeva da me fare la scelta giusta e quindi dissi di no».
«VOLEVO VEDERE IL MIO BAMBINO». All’ennesima pressione da parte dei medici perché interrompesse la gravidanza, «non avevamo più scelta: mi chiesero di abortire alla 25esima settimana, dovevamo cambiare ospedale. Ormai era chiaro: volevano vincere una battaglia, mentre io volevo solo vedere il mio bambino». Lynn partorì alla 35esima settimana e poiché il neonato non piangeva pensò «di averlo deluso».
Alla radio si commuove ancora quando ricorda come un dottore riuscì a rianimarlo e a metterglielo in braccio: «Era perfetto. Mi ha guardato negli occhi come per dirmi: “Quella non era che una prova”. “Sono felice che sei qui”, risposi». Il bambino è sopravvissuto in modo inaspettato al primo anno di vita. Non solo, perché «mio figlio oggi ha 10 anni, e a volte è ancora perfetto», fa notare Lynn con ironia. «E come suo padre ha una testa statisticamente grande».