Era giusto un anno fa. Dopo mesi e mesi di preparativi, ci apprestavamo a festeggiare la festa più attesa dell’anno: i 150 anni dell’Unità d’Italia. Tricolore alla mano, inno di Mameli nelle orecchie, nel cuore tutto l’amore per la nostra cara terra natia, che quel 17 marzo ci sarebbe dovuta essere più cara.
In televisione, sui giornali, su internet era una continua celebrazione dei grandi eroi che avevano reso unita la Nazione: Garibaldi, Cavour, Mazzini, Vittorio Emanuele… La storia nostrana si riempiva di santi, questi personaggi controversi diventavano emblemi dell’identità di un popolo che, tanto bisognoso di un’appartenenza, abbracciava qualsiasi cosa lo potesse rendere orgoglioso di essere italiano, in un momento di crisi.
Un anno dopo, festeggiamo i 151 anni. Dovremmo essere più maturi nella nostra identità italiana, più coscienti del valore di questa festa, più uniti nella nostra appartenenza a quel tricolore. Invece, le celebrazioni per l’Unità d’Italia paiono essere finite nel dimenticatoio. Sui giornali, il rosso e il verde compaiono solo a rari sprazzi, nessuno parla più di quegli eroi, e, nonostante la tanto celebrata identità italiana, la crisi ci attanaglia più di prima.
Ma il 17 marzo è anche un’altra festa. È il St. Patrick’s Day, la festa di San Patrizio, patrono dell’Irlanda che si festeggia dal diciassettesimo secolo. L’inizio dei festeggiamenti di questa ricorrenza si perde nei secoli, per ricordare la morte di questo santo che, nel IV secolo, con la sua missione contribuì alla conversione al cattolicesimo dell’isola verde. A Dublino e in tutta la nazione si preparano grandi parate. È la loro festa nazionale e ha un seguito notevole tra la gente. La città si tingerà appunto di verde: tre giorni di festa nel segno del trifoglio (lo shamrock), che fu appunto usato dal santo per spiegare il concetto della Trinità di Dio ai popoli che incontrava. Certo, sarebbe utopico credere che, tra le difficoltà recenti della Chiesa irlandese e i limiti di una fede spesso vissuta in modo solo formale, la gente scenda in piazza perché senta viva e costante la continuità con l’opera di questo santo: per molti è solo l’occasione per far festa, celebrando però qualcosa di cui essere orgogliosi, cioè il loro essere irlandesi. La loro identità. Che rischia di sfilacciarsi se privata della sua origine, ma che, nonostante tutto, ha qualcosa che continua a farla reggere.
Da una parte una Nazione festeggia ancora il suo santo, fiera della sua identità, seppur sempre più dimentica della sua origine. Dall’altra uno Stato cui, per un anno, si è provato a insegnare un’identità, tramite la celebrazione dei suoi eroi. Dal confronto si capisce una cosa: un’appartenenza è qualcosa che non si può inventare, ha le sue radici in una storia. Bisogna sentirla. E viverla sempre.