IL BOOM DI MILANO. Era la Milano che catalizzava intorno a sé tutte le forze del boom economico, la Milano della Torre Velasca e del Pirelli, della Motta e dell’Alemagna, di Jannacci e Celentano, di Maria Callas e Renata Tebaidi. Alla fresca intraprendenza di quella città è dedicata la prima sala della mostra, concepita con fotografie d’autore e filmati Rai che puntano a ricreare l’ambiente in cui sorse la straordinaria avventura delle due squadre. Tra scatti della stazione Centrale e istantanee dal Vigorelli si riesce a cogliere anche quale impatto ebbero i successi nerazzurri e rossoneri sulla vita di questa città, tra l’operosità di chi vi era nato e i tanti sogni degli immigrati dal Sud Italia. Una centro urbano che cresce e arriva respirare a pieni polmoni la sua popolarità anche grazie a quanto accade con quei due allenatori, tratteggiati nella loro contrapposizione da tanti cimeli che ripropongono quella diversità.
UNO PARLAVA QUATTRO LINGUE, L’ALTRO SOLO TRIESTINO. Perché Herrera era un calcolatore che si portava in viaggio una lavagnetta con cui spiegare le tattiche ai suoi giocatori, curava maniacalmente la preparazione psicologica ad ogni match, si svegliava al mattino e faceva yoga, viveva quasi da asceta, dava del lei a ogni giocatore e parlava fino a quattro lingue. L’opposto di Nereo Rocco che invece in bocca aveva sempre la battuta in triestino, ai giocatori non solo dava del tu ma ci faceva pure la doccia insieme, amava andare in trattoria e mangiare, oltre che bere. Ci sono due foto esemplari, una di fianco all’altra: il Paròn scherza coi suoi giocatori, giocando allo “Schiaffo del soldato”, mentre il Mago regge serio il pallone su cui fa giurare la squadra, per motivare Facchetti e compagni prima di un importante match. Diversi e rivali, come i cuori sportivi che battono a Milano, tenuti distinti pure nei due ingressi alla mostra (uno nerazzurro e l’altro rossonero) e nel doppio dorso del catalogo della mostra. Ma da quella contrapposizione si arrivò poi alla complicità, alla stima, e infine a un vero rapporto di affetto. Alle sfide a bordo campo fecero seguito le strette di mano e le pacche sulle spalle, gli incontri lontano dalla stampa e i messaggi di conforto dopo le disavventure. Come quando nel ’79 Rocco fu licenziato dalla Fiorentina, ed Herrera gli scrisse per consolarlo: «Caro Nereo, è proprio vero che nel nostro mondo i mona son troppi».