Super 8: spettacolo per gli occhi targato Abrams e Spielberg
L’estate è arrivata e ha portato via il bel cinema. Luglio e agosto nelle sale cittadine offrono solo mediocri commedie americane e film italiani di serie z, così spesso il motivo che spinge i temerari a regalarsi la visione di trascurabilissimi metri di pellicola è l’aria condizionata, che promette una tregua dall’afa almeno per i canonici 90 minuti. Non resta che aspettare che arrivi settembre, mese in cui la macchina ripartirà in pompa magna, con i soliti noti e le new entry che si contenderanno sold out al botteghino e favori della critica, sperando di coronare il successo con la soddisfazione più grande, un premio sul palco degli Oscar. In Italia, a tre mesi di distanza dall’esordio americano, il 9 settembre arriverà Super 8, la nuova pellicoladi J.J. Abrams, il Re Mida di Hollywood, prodotta da Sua Maestà Steven Spielberg.
Un onore per il creatore di Lost, che non ha mai nascosto il suo amore per la lunga produzione spielberghiana e che quasi profeticamente, a soli 15 anni, aveva aiutato il maestro a montare un filmino in 8 millimetri realizzato in gioventù. Siamo nel 1979, in una cittadina di ventimila abitanti dell’Ohio. Un gruppo di ragazzini sta girando “Il caso”, un film sugli zombie da presentare a un festival regionale. Tra loro c’è Joe (l’esordiente Joel Courtney, classe 1996), che si occupa del trucco e degli effetti speciali e che ha appena perso la madre in un incidente in fabbrica. La morte della donna lo ha gettato nello sconforto e il padre, il vicesceriffo Jackson Lamb (Kyle Chandler), non sa bene come affrontare la delicata situazione: il lavoro lo ha portato spesso lontano da casa e da Joe, di cui sa pochissimo. L’estate sta arrivando e Jackson vorrebbe che il figlio aderisse a uno di quei programmi estivi per adolescenti pieni di gite, sport e divertimento, ma il ragazzo ha un solo desiderio: finire il film in tempo per il concorso.
Una notte la troupe sta girando alcune scene con una videocamera amatoriale, la Super 8; con loro c’è anche Alice (Elle Fanning), ragazzina un po’ più grande, bellissima e dagli occhi tristi. Un treno spunta in lontananza: è il momento di girare la scena centrale. Ma improvvisamente un pick-up irrompe sui binari e si schianta contro il treno. L’incidente è incredibile e i giovani cineamatori si salvano per miracolo. Alla guida del pick-up c’è il loro insegnante di biologia, che intima ai ragazzi di non riferire nulla di quanto visto, altrimenti “loro” li troveranno e li uccideranno. Loro chi? I ragazzi iniziano a interrogarsi sulla catastrofe ma la paura li spinge a mantenere il segreto, mentre la cittadina è sconvolta dall’evento, che causa l’arrivo improvviso dell’esercito e l’inizio di fenomeni inspiegabili. Qualcosa di tremendo sta per accadere. Un gruppo di preadolescenti è il motore di una storia che mescola con maestria elementi della fantascienza anni Ottanta, la commedia di fine anni Settanta e una buona dose di cinema contemporaneo a cui J.J. Abrams ci ha ben abituato.
Le ambientazioni e la struttura della narrazione ricordano da vicino alcuni capolavori spielberghiani, ma siamo lontani dall’emulazione: la sensazione è che Super 8 sia ispirato alle grandi storie per ragazzi, che alternano coraggiose avventure ai problemi della vita quotidiana, regalando allo spettatore due ore di “pura evasione”, nel senso più nobile del termine. Quei film che hanno ispirato i giovanissimi a prendere in mano le videocamere di famiglia, radunare gli amici e sognare un futuro negli Studios di Hollywood. Alcune scene rievocano la serie cult degli anni Novanta Dawson’s Creek, con protagonista un adolescente innamorato del cinema di Spielberg che, in una cameretta arredata con le locandine di E.T. e Lo squalo, dirige il suo primo zombie movie con gli amici d’infanzia. Super 8 è pura avventura, che non necessita di effetti speciali miliardari o del 3D per far innamorare lo spettatore. I veri protagonisti sono Joe e i suoi amici. È con loro che il pubblico entra in sintonia. Il diverso, l’alieno imprigionato in una terra da cui vuole scappare, terrorizza Joe ma non gli impedisce di cercare con tutte le forze di salvare l’amata Alice, rapita dal mostro. E il gruppo, impaurito, geloso di questo amore, pavido, incosciente, arrabbiato, lo segue pieno di dubbi e coraggio: il destino di tutti è nelle loro mani, come potrebbe essere altrimenti? La creatura che sconvolge la città non ha la malvagità di Alien né la simpatia di E.T., è semplicemente “diversa”.
Ingabbiata e torturata, sa di avere come unica chance per sopravvivere l’uso indiscriminato della violenza. E mentre la città crolla sotto i suoi attacchi frenetici, Joe e i suoi amici danno il via alla loro avventura con le idee chiare: non si può e non si deve morire perché c’è un film da finire, il loro horror, il progetto a cui hanno dedicato la loro estate. “Il caso” è uno zombie movie curato nella regia, nel trucco, negli effetti speciali e nella sceneggiatura, un cortometraggio perfetto nella sua imperfezione, nostalgico e affascinante, che racconta di morti viventi ma soprattutto riporta alla mente la bellezza dei primi filmati amatoriali. Una storia nella storia che fa da fil rouge al film e “tradisce” il desiderio più grande di J.J. Abrams: spingere i ragazzi degli anni Zero a scegliere il mestiere del regista. «Ogni cellulare ha una videocamera. La possibilità di realizzare un film in casa è qualcosa che non esisteva quando io ero un ragazzino, anche se lo bramavo ardentemente». L’augurio è che l’appello di Abrams non resti inascoltato, perché il mondo ha ancora bisogno di lasciarsi stupire e la settima arte, nelle mani giuste, ha ancora la capacità di farlo.
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