
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, il contributo di Franjo Topic contenuto nel libro Dayton, 1995. La fine della guerra in Bosnia Erzegovina, l’inizio del nuovo caos (ed. Infinito). Topic è docente alla facoltà di Teologia cattolica (la più antica di Sarajevo) ed è stato per 29 anni, fino a luglio 2019, presidente dell’associazione culturale Napredak (che in croato significa “progresso”). Tempi ha raccontato con un reportage da Sarajevo la storia di Napredak nel numero di ottobre 2019.
La Bosnia Erzegovina è un Paese piccolo ma ha problemi degni di un grande Stato. Essendo “tre mondi” è per questo che la Bosnia Erzegovina è così complicata, ma è per lo stesso motivo così importante. Se non fosse una terra così complicata, tutto si sarebbe già risolto, e se non fosse così importante, nessuno se ne sarebbe mai occupato. Qui si sta sperimentando anche il multiculturalismo, che ora è attuale pure in Europa, grazie alla significativa presenza di nuovi e vecchi immigrati. Su questo tema hanno scritto e parlato papa Benedetto, la cancelliera Angela Merkel e il filosofo ed ex presidente del Senato italiano Marcello Pera.
In ogni Paese qualsiasi partito, nella lotta per il potere, spesso usa tutti gli strumenti a sua disposizione. Questa è la verità, anche senza scomodare Machiavelli. È importante notare che in Bosnia Erzegovina ciò è specifico perché i partiti di governo sono per lo più etnici, quindi gli scontri tra di loro sembrano litigi tra le comunità etniche, cioè tra croati, serbi e bosgnacchi. Questo va ad aggravare in modo significativo il contesto e va a sommarsi alle altre problematiche già esistenti nelle relazioni etniche, religiose e sociali in Bosnia Erzegovina. Le elezioni in questo Paese spesso sembrano più un censimento che una vera e propriaconsultazione democratica. Qui, tre fratelli e tre sorelle fanno fatica ad accordarsi a favore di una soluzione per la struttura della Bosnia Erzegovina. Oggettivamente parlando, non è facile conciliare le differenze in nessuna famiglia, anche in Paesi più grandi e con una lunga tradizione democratica, ma per questo non bisogna arrabbiarsi né rinunciare a un processo di armonizzazione. Ci sono persone e organizzazioni che danno ancora segnali positivi, di cui parleremo più avanti.
Pertanto, secondo la nostra opinione, sono possibili due opzioni per migliorare l’assetto attuale: la prima è organizzare una nuova Dayton, anche se sappiamo che non è facile, perché chi ha ottenuto vantaggi importanti non vi rinuncerà tanto facilmente. E… come, poi, se anche la prima Dayton fosse stato facile! Va aggiunto che l’architetto degli Accordi di Dayton, il diplomatico statunitense Richard Holbrooke, ha scritto che questo trattato serviva a fermare una guerra che durava da più di un quadriennio e che una “Dayton 2” dovrebbe regolare un funzionamento buono, equo ed economicamente sostenibile del Paese (End the War, Sarajevo, 1998).
La seconda opzione è che l’Unione europea accetti la Bosnia Erzegovina così com’è sotto la sua ala protettiva e poi si modifichino e armonizzino le sue leggi con quelle europee. Ma quando giochi una partita, devi seguire le regole. Ci sono state eccezioni, come nel caso della Romania e della Bulgaria, che sono state ammesse nell’Unione europea senza soddisfare tutte le condizioni. Ma quando giochi una partita, devi seguire le regole. E il punto è che tutte le precedenti riforme costituzionali e legali – nelle quali sono pur stati investiti molti sforzi, denaro e nervi – sono state più di rilevanza “cosmetica” che non reali. Ci sono stati due tentativi per realizzare importanti riforme costituzionali, il pacchetto di aprile e l’accordo di Butmir, ma sono falliti. Pertanto, varrebbe la pena di riformare dalle sue fondamenta lo Stato e di organizzare il Paese a misura non solo dei suoi tre popoli ma di tutti i cittadini.
Una vecchia questione filosofica può risultare utile per comprendere la Bosnia Erzegovina e risolverne le tante problematiche: il rapporto tra il generale e l’individuale che, secondo Aristotele – al quale crediamo senza esitazione alcuna – è il più grande problema filosofico, ed è di conseguenza vitale. L’esattezza di quest’affermazione è dimostrata anche in Bosnia Erzegovina. Come preservare la propria identità etnica e religiosa e farla convivere con le altre? Come armonizzare le differenze? A mio parere, la soluzione non è nella tesi comunista della “fratellanza e unità” [celebre motto dell’era jugoslava e titina, N.d.T.] e nella creazione di una super-nazione jugoslava, perché la stessa guerra sanguinosa lo ha confutato. Se ci fosse stata una buona soluzione, lo Stato non si sarebbe disintegrato e se ci fosse stata una vera fratellanza, questa guerra non sarebbe stata così sanguinosa. E non vi è soluzione alcuna nell’assolutizzazione della propria nazione e nel nazionalismo ostinato, come fanno alcuni nazionalisti incalliti, che quindi spesso costruiscono la loro identità nell’opposizione continua agli altri.
La storia più recente della Jugoslavia ha dimostrato che la soluzione al nodo gordiano della Bosnia Erzegovina non sta nella menzionata fratellanza e nell’unità. La fraternità ha anche il suo valore biologico, ma non si sceglie, è qualcosa di dato e naturale ed esclude la libertà di scelta. L’unità è importante nella vita e nella società, ma la sua ombra è che non può essere imposta con la forza, come è avvenuto in Jugoslavia, che comunque, al di là di certi aspetti positivi, è stata uno Stato totalitario disintegratosi ai primi venti democratici. Se la Jugoslavia fosse stata davvero uno Stato così forte, non sarebbe andata in pezzi con tanta facilità e, ciò che è ancora peggio, non si sarebbe mai arrivati a una guerra fraterna così sanguinosa. A nostro giudizio, soprattutto in questa nostra epoca contemporanea connotata dai diritti umani e dalla democrazia, la soluzione sta nell’amicizia e nella comunione. Gli amici vengono scelti e l’amicizia implica la libertà di scelta, quindi non a caso si dice che chi trova un amico trova un tesoro. Comunione significa libertà di associazione, significa che le persone unite si associano e si rafforzano a vicenda e che le persone unite sono più forti proprio come la fune, che tanto è più forte quanto più fili sono legati nella fune stessa. È il modello di mosaico artistico che appartiene all’arte più bella, in cui colori e personaggi si completano a vicenda in armonia e non sono d’ostacolo l’uno all’altro. Questo significa accettare sinceramente l’altro, rispettarlo nei suoi diritti e accettare le diversità come qualcosa di normale piuttosto che come un peso. L’altro non è l’inferno, come direbbe Sartre, ma il mio vicino, senza la cui felicità non sarò felice neanche io. Emmanuel Levinas direbbe che qualcuno è un vero soggetto umano se è in una relazione con un altro, se è responsabile di un altro.
Non è facile trovare un buon modello; molti Paesi ne hanno provati diversi. A nostro avviso, il modello europeo più vicino a noi sarebbe quello svizzero. Tenuto conto di quanto sia variegata la Bosnia Erzegovina, dovrebbe essere governata da una “democrazia combinata”, ovvero andrebbero garantiti diritti individuali e collettivi. Va evidenziato che il problema cruciale in Bosnia Erzegovina non è quello religioso, come non lo è del resto in Albania, bensì sta nell’articolazione politica della nazione e nella questione nazionale. La maggior parte dei Paesi europei ha risolto questo problema negli ultimi secoli. Pertanto, anche l’identità nazionale dovrebbe essere garantita. Tre livelli di governo: statale, cantonale e comunale. Il livello cantonale dovrebbe avere la funzione di preservare e garantire l’identità nazionale. E ciò che è anche importante, a ogni livello di governo va assicurato una fonte di reddito. Senza la quale, temiamo che la situazione si complicherebbe ulteriormente, senza escludere la possibilità di nuovi conflitti. Ci sono già state proposte simili (il piano di Vance-Owen, il Parlamento croato a Sarajevo nel 1994, e via dicendo). Molte persone e certi partiti vogliono detenere il potere al 100 per cento il che, in un certo qual modo, è una posizione politica persino comprensibile. La questione sta solo in che maniera farlo e a quale prezzo. Le richieste massimaliste non sono buone neppure nella vita, in famiglia, al lavoro. I diritti di ogni individuo e di ogni gruppo sono limitati dai diritti degli altri individui e degli altri gruppi.
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