Silvio Berlusconi ha vinto, ma in realtà ha perso. La VI sezione della Cassazione ha sì confermato l’assoluzione nel processo Ruby, ma, come l’ex presidente del Consiglio è sbottato quando è stato raggiunto dalla notizia, il risultato vero è un altro: «Adesso chi mi risarcisce di questi anni? Della sofferenza e dei danni politici che ho subito?». È stato il Rubygate, infatti, molto più che il processo Mediaset che pure ha portato alla sua decadenza da senatore, a influire sulla sua carriera politica.
Nella reazione a caldo di Berlusconi c’è la morale della storia. Perché intanto che la “giustizia faceva fatto il suo corso”, il leader di Forza Italia è stato messo alla porta. Si può pensarla come si vuole sull’ex premier e sulle sue “cene eleganti”, sulle sue idee e sui suoi governi, ma è un fatto che il processo Ruby è stato – sin dall’inizio – il modo attraverso cui i suoi avversari hanno cercato di farlo fuori. Per questo Berlusconi ha vinto nel processo giudiziario, ma ha perso nel processo mediatico.
È un bene per il paese che un leader politico votato da otto milioni di cittadini sia stato azzoppato in questo modo? È lecito dubitarne. Non è sicuramente un bene per il paese, invece, che la giustizia diventi, di fatto, un’arma politica impropria. Questo però, ormai, dopo un lustro di sputtanamento penalmente irrilevante ma mediaticamente devastante, sembra non interessare più a nessuno.
Michele Emiliano (Pd), ex sindaco di Bari e magistrato, ha pronunciato sagge parole ieri a una trasmissione tv: «La Procura di Milano deve ammettere di aver sbagliato. La Procura dovrebbe, in maniera istituzionale, prendere atto della sconfitta e scusarsi. Un pubblico ministero non è obbligato a rinviare a giudizio una persona, se lo fa deve sapere di avere un apparato probatorio certo al cento per cento».
Ma non dovrebbero essere solo i giudici a chiedere scusa, lo dovrebbero fare anche tanti giornalisti che su questa vicenda hanno lucrato e venduto copie dei loro quotidiani. Dagospia ha acutamente notato che ancora ieri Repubblica titolava in prima pagina “La Cassazione salva Berlusconi”. Non assolve, ma “salva”. «Far credere invece ai propri lettori – ha scritto Dagospia – che il Cavaliere sia stato “salvato” serve solo a non riconoscere il verdetto “sul campo”. Un po’ come dire, dopo una finale di Champions League vinta dal Real Madrid, che “il portiere avversario fa vincere il Real”».
Proprio Repubblica è stato il quotidiano che più ha insistito sulla vicenda, pubblicando tutto il pubblicabile e anche l’impubblicabile, riempiendo pagine e pagine di foto e fotine di Olgettine, intercettazioni inutili, pruderie di ogni risma. Repubblica, a partire dalle famose dieci domande, è stato il più formidabile cannone mediatico puntato alla testa del premier. E, appunto, ha sparato e ha vinto, ottenendo quel che voleva ottenere: sputtanarlo fino a renderlo impresentabile. Solo che oggi a Repubblica (così come al Fatto, Corriere, Stampa, eccetera eccetera) nessuno dirà nulla né contesterà una linea editoriale sbagliata e ideologica.
Così si può a ragione affermare che con i processi mediatici il risultato lo si ottiene sempre. Infatti il circuito stampa-magistratura-politica, pur avendo perso, ha vinto.
Foto Berlusconi Ansa