Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Anche l’ultima vicenda del voto sulle unioni civili, con la prepotente scelta renziana di porre la fiducia su una questione di evidente competenza parlamentare, ci parla della deriva in corso di una politica sempre più gestita dall’alto, con finalità essenzialmente propagandistiche e con conseguente disgregazione della società italiana in tanti suoi comparti. E tutto ciò in una fase in cui anche in Europa manca una leadership ben consapevole dei problemi che abbiamo di fronte. In tanti si chiedono da dove si possa ricominciare a impostare non dico soluzioni ma almeno discorsi razionalmente coerenti. Roma, tra i disastri combinati dagli eredi del Pci (promotori persino del bizzarro Ignazio Marino) e quelli compiuti dagli esponenti del Fronte della Gioventù del ’77 (la tripletta dei falliti: Gianfranco Fini, Gianni Alemanno e Francesco Storace), con una latitanza della presenza cattolica difficilmente rimediabile grazie un simpatico erede del mondo delle costruzioni romane, non mi pare che offrirà grandi occasioni di riscatto nazionale.
Anche Milano sembrava persa: appariva scontato che sarebbe stata affidata da una sinistra esangue, non in grado di fare i conti con se stessa e con l’eredità della giunta dello stallo (parole di Beppe Sala sulla giunta Pisapia), a un ex manager della Pirelli, city manager di Letizia Moratti, buon amministratore di Expo, però così fragile caratterialmente da non essere capace di ricordare come la “sua” manifestazione di successo fosse stata conquistata contro tutto e tutti proprio dal sindaco poi rinnegato. Poi dal nulla è sbucata un’alternativa con Stefano Parisi che alla fine è figlia delle migliori giunte che Milano abbia avuto dopo il ’92 quelle di Gabriele Albertini, quelle di cui, realizzandone i progetti, si è fatto bello lo sperduto e fuggitivo Giuliano Pisapia. Alla fine Milano è la più politica delle città italiane innanzi tutto per il vizio dei suoi cittadini di voler contare e di essere orgogliosi del proprio municipio, e quindi non ha potuto non diffidare di un personaggio indicato alle primarie, per il sindaco, della sinistra nella prefettura milanese dal presidente del Consiglio. E così grazie alle infinite vie della provvidenza civica è spuntato un sindaco degno di questo nome.
Il laboratorio politico d’Italia
Ho una qualche difficoltà a parlare di Parisi perché è uno dei, non molti, miei più cari amici, posso dire senza essere smentito che è un uomo di princìpi e convinzioni, molto competente e insieme molto aperto, con vere qualità politiche che non affida mai a questa o a quella felpa. Può funzionare se oltre al suo un po’ sforacchiato schieramento politico, riuscirà a mobilitare veramente le anime della città sia quella delle élite sia quella popolare.
A parte i consigli che da amico mi strappa, non tocca a me – un reduce delle guerre puniche, al massimo capace di qualche analisetta – impegnarmi in attività politiche. Chi sceglie di farlo invece deve essere consapevole che l’esito del voto milanese sarà fondamentale per segnare una prossima fase delle cose italiane, che dal loro verso se non corrette produrranno gravi guasti. Basta dare un’occhiata anche alle primarie americane per capire che cosa è una democrazia che funziona: un sistema in cui il popolo ha un peso decisivo sulle scelte decisive, in cui non si cerca di emarginare i radicali e accorpare i moderati per fare comandare le solite élite, ma in cui nei vari schieramenti lo scontro sulle idee aiuta i cittadini a partecipare alla vita dello Stato rafforzandone la sovranità e la presenza internazionale. Un sistema cioè in grado di assorbire persino qualsiasi periodo di svagatezza obamiana.
Potremo mai avere anche noi un sistema così o dovremo per sempre subire l’egemonia senza scheletro della Grande bottegaia tedesca? Con un parlamento conciato come si diceva all’inizio, la speranza che si riavvii un dibattito politico su cui fondare nuove sovranità popolari e nazionali, passa solo da Milano. Gli uomini di coraggio e buona volontà si apprestino alla sfida.
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