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Non solo Juve-Roma. Ecco tutte le (ridicole) battaglie perse dal Parlamento italiano contro «la dittatura della arbitro». Dal 1870 a oggi

Anche ai tempi di Gigi Riva i politici portavano i match di serie A davanti all'Aula come priorità della nazione. Da Fiorentina-Cagliari (1969) a Juve-Roma passando per Calciopoli

Francesco Amicone
08/10/2014 - 2:00
Sport
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Roma-Juventus, la sfida pallonara per lo scudetto, è finita in Parlamento. Arbitraggio scandaloso: tre rigori dubbi, un gol irregolare. Vittoria per la Juve. Polemiche. Il processo del lunedì ha per protagonista Marco Miccoli, deputato del Pd romano. Il suo dossier sulla partita arriva a Montecitorio sotto forma di interrogazione al ministro dell’Economia.

«INTERVENGA L’EUROPA». A Pier Carlo Padoan, Miccoli chiede conto degli «incredibili errori» dell’arbitro Rocchi: quali ripercussioni avranno sulla borsa di Milano, sulla credibilità del Paese e sugli investimenti stranieri, visto che Juve e Roma sono società quotate? La questione pare seria. Il leghista Gianluca Buonanno gli fa eco, sollecitando l’intervento della Commissione europea. Si appella al mercato unico e al Trattato di Lisbona: Bruxelles deve intervenire nel calcio italiano, con «un meccanismo di nomina di arbitri internazionali di riconosciuta fama, onestà e integrità morale». L’opinione pubblica si divide fra seriosi, facinorosi e neutrali. Bisogna prendere sul serio queste interrogazioni? Forse no. Ma certo il calcio in Italia offre il destro alla politica. Persino il Corriere della Sera usa il dibattito per ribadire la linea editoriale, denunciando l’ennesimo «cattivo servizio reso dalla politica», in particolare dal renziano Miccoli e dai «suoi sodali» (fra cui Paola Binetti), auspicando un rinnovato «clima di serietà, se non di sobrietà».È dal

ONESTI VS RUBAGALLINE. Di connessioni fra politica e calcio, in Italia, se ne contano a bizzeffe. Nel 1998 l’Economist parafrasò per il belpaese una nota frase dello stratega tedesco Von Clausewitz: «Il calcio è la prosecuzione della politica con altri mezzi». Il settimanale britannico puntava il dito contro l’intreccio tra club calcistici e uomini di potere di allora e di oggi (Berlusconi, Moratti, Cecchi Gori, Agnelli). Un legame affaristico fra due mondi costituitosi, secondo l’Economist, per pure logiche di consenso. Senz’altro è anche questo. Ma il calcio, in Italia, sembra offrire più vantaggi ai retori che agli affaristi. Può essere la scusa per dare una lezione all’avversario di turno o per trarsi in disparte dalle polemiche. Una partita mal arbitrata può servire a Miccoli per dire che «meritocrazia e qualità vengono messi in secondo piano a favore di decisioni errate». Oppure per dimostrare che in Italia domina «arbitrarietà e mancanza di certezza nell’applicazione delle regole, assolutamente impensabile in qualsiasi altra parte del mondo civilizzato».
Un derby calcistico può essere usato dall’opinione pubblica per evocare un altro classico, fra due famiglie di italiani: gli Onesti e i Rubagalline. Ecco allora che c’è il rappresentante degli uni, lo juventino Leonardo Bonucci (con il motto: «Godo, conta solo vincere»), contrapposto al rappresentante degli altri, lo juventino Marco Travaglio (motto: «Voglio vincere, ma senza rubare»). L’Italia guelfa e ghibellina, bianca e nera, proprio come la Signora di Torino. Ma non è solo questo. La storia del calcio e della politica italiana, anche nella storia recente, hanno vissuto quasi in simbiosi.

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ZOFF VS BERLUSCONI. Celebre è la querelle del 2000, tra Silvio Berlusconi e l’allenatore della nazionale Dino Zoff. L’allora capo dell’opposizione accusò di incapacità tattica Zoff, all’indomani dell’Europeo perso contro la Francia. I media si affrettarono a fare di Zoff l’emblema dell’uomo onesto, fiero, e a dipingere Berlusconi come «il solito Berlusconi». L’Italia era divisa. Berlusconi deprecò con rabbia la libertà concessa dagli azzurri al fuoriclasse Zinedine Zidane, «la fonte di giuoco degli avversari». L’Italia avrebbe vinto, «se si fosse fermato Zidane con uno che lo anticipasse e lo marcasse da vicino. Cribbio». Le affermazioni di Berlusconi, trapelarono su Radio Capital e poi su Repubblica. Zoff si indignò e si dimise da ct della nazionale. Berlusconi fu accusato di cattiveria.

CALCIO E GIUSTIZIA. 
Sei anni dopo, arrivano calciopoli e il mondiale tedesco. Il giustizialismo irrompe nel calcio, dieci anni dopo tangentopoli. La Juventus è accusata di aver rubato tre scudetti. «Abbiamo una nazionale che sembra uscita da Regina Coeli», scrisse Beppe Grillo, futuro leader 5 Stelle. I paragoni fra il «sistema marcio del calcio» e il «sistema marcio della politica» si sprecano. La Figc è commissariata da Francesco Saverio Borrelli, il magistrato simbolo di Mani pulite. L’opinione pubblica attacca senza tregua calciatori e allenatore. Nel mirino anche il capitano della nazionale, Gigi Buffon, accusato di alcune scommesse. Una nemesi. L’Italia vince una partita dietro l’altra. In finale contro la Francia, le provocazioni garibaldine, berlusconiane, di Marco Materazzi mettono fuori gioco il campione oltralpino Zidane (la famosa testata). La nazionale dei “galeotti” si accaparra il Mondiale. Fine della storia. Lezione berlusconiana numero due: per salvarsi, in politica, come nel calcio, bisogna vincere.

LA DITTATURA DELL’ARBITRO. Altro tema sollevato dalla partita Roma-Juve è l’arbitraggio. Basta scartabellare fra gli atti parlamentari per capire che la faccenda che oggi investe Gianluca Rocchi ha quasi mezzo secolo. Nel 1969, fu l’onorevole Goffredo Nanini a denunciare alla Camera i «clamorosi fatti» di Fiorentina-Cagliari. Situazione analoga all’odierna. Inizio del campionato, sfida decisiva, le due squadre si giocano lo scudetto. L’arbitro Concetto Lo Bello assegna un dubbio rigore al Cagliari. Gol di Gigi Riva. Ira del popolo. La questione finisce in Parlamento. «Un giudice unico e senza controllo non può essere più tollerato, in uno Stato civile e democratico», accusa Nannini. Il deputato di Firenze chiede al ministero del Turismo e degli spettacoli di introdurre nelle partite di calcio «la tv e qualsiasi altro mezzo moderno idoneo come prove testimoniali». Il sottosegretario al Turismo rigetta la proposta. Ma coglie l’occasione per fare un breve excursus sull’arbitraggio.
Il dibattito sugli arbitrii dell’arbitro risalirebbe almeno alla guerra franco-prussiana, alla breccia di Porta Pia. Già dal 1870, se non dal 1863, informa il sottosegretario, si tentò di limitare i poteri dell’arbitro: qualcuno proponeva di dividere il campo di calcio fra due giudici, «di istituire giudici di corner, giudici di porta, supergiudici, ma poi dopo questi tentativi si è sempre tornati al sistema del giudice unico». Neppure i contrappesi avevano funzionato. Si era provato a temperare la discrezionalità dell’arbitro istituendo una specie di corte di cassazione calcistica. Ma i perdenti ne abusavano. Ecco perché, afferma il sottosegretario, «siamo in presenza di una sorta di dittatura dell’arbitro». Qualcuno oggi direbbe «dittatura dei giudici».

Tags: agnelliBeppe GrillocalcioCalciopolicampionatodino zoffeconomistJuventusmarco miccolimorattiparlamentoRomaSilvio BerlusconiUnione Europea
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