Il New York Times torna in utile. Come? Tagli, svendite, snellimento della redazione, digitale
Il New York Times torna in utile con profitti per 20 milioni di dollari (circa 15 milioni di euro) nel secondo trimestre dell’anno. Come ha fatto? Semplice, vendendo le testate inutili e mettendo in atto un piano di tagli e ridimensionamento dei costi. Poi, sono aumentati gli abbonamenti per le copie digitali, che hanno compensato il calo della raccolta pubblicitaria che da ormai troppo tempo accomuna il cartaceo al web.
RIVOLUZIONE DIGITALE. La risalita ha inizio un anno fa, quando il presidente ed editore del Nyt Arthur Sulzerberger Jr. ha dato il benservito a Janet Robinson, storica ceo della società, capace di fare del più famoso quotidiano newyorkese una vera e propria testata nazionale, ma che poi l’ha visto declinare impotente nell’era di internet e della crisi. Al suo posto è stato chiamato Mark Thompson, direttore generale della Bbc tra il 2004 e il 2012, che in otto anni ha rivoluzionato l’emittente pubblica portando un’audience da record sul fronte dell’online. Thompson, che si è trovato tra le mani un budget molto minore per finanziare i suoi interventi, avrebbe dovuto portare nel quotidiano della Grande Mela la rivoluzione digitale analogamente a quanto hanno dovuto fare i chief operating officer del settimanale Time (Laura Lang) e dell’Huffington Post (Tim Armstrong); entrambi provenienti da precedenti esperienze in campo pubblicitario e di marketing digitale.
CHI VUOLE IL BOSTON GLOBE? Il primo passo è stato quello di “tagliare i rami secchi”. A partire dal portale About, venduto per 300 milioni di dollari (238,8 milioni di euro) al rivale Answer.com, ma comprato nel 2005 per 400 milioni di dollari (318,4 milioni di euro). In seguito, il gruppo Sulzerberger ha venduto anche per 143 milioni di dollari (113,8 milioni di euro) 16 giornali locali e la quota nel capitale della squadra di baseball dei Boston Red Socks. Ora è il Boston Globe ad essere sul mercato, acquistato nel 1993 per la stratosferica cifra di 1,1 miliardi di dollari e per cui ora l’editore ne accetterebbe un decimo. In vendita ci sono anche il locale The Worcester Telegram & Gazette e la società di direct marketing Globe Direct. Non si tocca, invece, l’edizione internazionale che ha appena cambiato nome e per la quale sono in cantiere novità: l’International New York Times, già International Herald Tribune.
TAGLI MA ANCHE NUOVE ASSUNZIONI. A inizio anno è stato lanciato il piano di ristrutturazione: sono state tagliate le firme più famose (e costose) del quotidiano, tra cui, il capo della cronaca cittadina e di quella sportiva Joe Sexton, Jon Landman a capo della cultura e i capiredattori John Geddes e Jim Roberts. Promossi i loro vice, con stipendi più bassi, ma almeno non è stata decimata la redazione. In cantiere, dopo la recente apertura dell’edizione cinese, c’è quella brasiliana in vista dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi di Rio de Janeiro 2016. Entrambe contano una trentina di giornalisti e offrono contenuti gratuiti, alcuni tradotti e altri scritti direttamente per la nazione di riferimento. Lo scopo è quello di portare nuovi abbonati sul sito dell’edizione americana: dal mondo, infatti, provengono circa un 10 per cento del totale degli iscritti a pagamento al sito.
NUMERI E PROSPETTIVE. Il New York Times conta 5.461 dipendenti e nel nuovissimo palazzo costruito da Renzo Piano ci sono 1.100 giornalisti, più 25 uffici di corrispondenza all’estero. La casa editrice ha registrato nell’ultimo trimestre un utile da 20,1 milioni di dollari (15,2 milioni di euro) contro il precedente rosso di 87,6 milioni di dollari (66,3 milioni di euro). Il fatturato è calato dello 0,9 per cento a 485,4 milioni (366,5 milioni di euro). Tra i ricavi, quelli da vendite sono aumentati del 5,1 per cento, contro un calo della raccolta pubblicitaria del 5,8 per cento.
In crescita fortissima (35 per cento) gli abbonati alle versioni digitali che ormai sono quasi 700 mila (668 mila per l’esattezza), contro i 640 mila di Nyt e International Nyt di carta. Presto, infine, saranno potenziati i video e la possibilità di seguire eventi live sul sito; saranno lanciati nuovi prodotti e servizi che faranno del marchio New York Times la loro forza; e saranno offerti nuovi pacchetti low cost per i più giovani, senza però disincentivare chi paga l’abbonamento pieno, riservandogli maggiori possibilità. Si stima, infatti, che, oltre una certa soglia, gli abbonamenti a prezzo pieno non aumenteranno più.
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2 commenti
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che gente complicata gli americani. bastava riconoscere il servizio pubblico che offre la stampa e dare sovvenzioni ai giornali come facciamo noi. qui nessun giornale importante chiude. se no che servizio pubblico sarebbe?
Bravi americani: la stampa deve essere costretta a rimanere sul mercato con le sue gambe, chi on ce la fa chiude. Solo all’interno del mercato può esserci meritocrazia: quando devono farsi giudicare da milioni di lettori, solo i più bravi sopravvivono. Invece le sovvenzioni pubbliche fanno crescere, come piante velenose, le raccomandazioni e i nepotismi. Basta sovvenzioni pubbliche alla stampa!!! Perché io contribuente devo pagare ad uno Scalfari e ai suoi amici, parenti e raccomandati uno stipendio da nobile dell’ancien régime?