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Marò a casa. Dopo un anno di attesa «finalmente l’Italia ha fatto una mossa giusta»

Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, spiega cosa è successo ai nostri Latorre e Girone. La melina dell'India e le conseguenze della nostra decisione

Emmanuele Michela
12/03/2013 - 15:38
Esteri
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La situazione di stallo in cui la vicenda dei marò si stava impelagando è stata risolta ieri: il ministro Giulio Terzi ha fatto sapere che non torneranno in India i due militari italiani, arrestati il 15 febbraio dello scorso anno in Asia per aver ucciso due pescatori scambiando il loro peschereccio per una barca di pirati. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone rimarranno in Italia, dove si trovano per un permesso concesso per esercitare il loro diritto di voto. New Delhi avrebbe violato il diritto internazionale, e così è insorta una controversia tra i due Paesi. «Sono violazioni che sussistono da quando i due marò sono detenuti in India: la situazione dei nostri militari non era sostanzialmente cambiata». A spiegare quanto successo e l’importanza della mossa del Ministro Terzi è Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa.

Gaiani, ieri il ministro degli Esteri ha fatto sapere che i marò resteranno in Italia e non faranno ritorno in India. Per la prima volta lo Stato italiano mostra i muscoli di fronte a questa vicenda?
Sì, non c’è dubbio. E lo fa con una modalità inusuale e inaspettata a tutti, specie per l’India, in un momento in cui il nostro governo è ormai agli sgoccioli. Ma qualcosa stava cambiando, soprattutto per quanto riguarda due aspetti di cui si parla poco: il primo è che dopo il rientro in India dei due marò dopo Natale ci si aspettava una decisione della Corte Suprema indiana, che invece non c’è stata. O meglio, ha deciso di non decidere, attribuendo la facoltà di prendere una decisione ad un tribunale speciale che doveva essere costituito dal governo. Così si stava aggiungendo abuso ad abuso, perché è un’aberrazione che siano i governi a istituire tribunali e non le corti. In secondo luogo, il 9 marzo il ministero degli Esteri indiano ha avviato le procedure per istituire questo tribunale. Tutto questo ha offerto all’Italia la possibilità di appellarsi per una controversia giuridica internazionale chiedendo un arbitrato, e così trattenere in Italia i due militari.

È giustificabile il comportamento del Governo italiano?
Sì, e c’è un altro aspetto poco osservato: la procura di Roma, che comunque ha aperto un fascicolo per omicidio sui due marò, da mesi chiede alla corte suprema indiana di conoscere gli atti, e quindi di avere una copia delle perizie balistiche, eccetera. Sono indagini fatte dalla polizia del Kerala in maniera un po’ raffazzonata, è risaputo. L’India non ha mai risposto alla richiesta di rogatoria della procura di Roma: ciò non voleva dire, attenzione, rinunciare al processo, ma semplicemente condividere le informazioni e le prove in loro possesso. Si può parlare di ritardo burocratico per così tanti mesi? Non so, io credo che sia più probabile pensare che se quelle prove fossero finite in mano ad un giudice italiano avrebbero fatto ridere tutti.

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L’India continua invece a rimandare la decisione circa la giurisdizione, punto su cui si attende una pronuncia della Corte suprema almeno da agosto. Come mai questa lentezza?
Si possono offrire tante interpretazioni. Una lentezza burocratica tipica di un paese che si atteggia a super potenza ma rimane segnato da dinamiche del Terzo Mondo con uno dei più alti tassi di corruzione a ogni livello, oppure una volontà di rallentare i tempi di processo per mantenere la capacità di pressione sull’Italia, anche su altre vicende, come sulle forniture di elicotteri. Oppure, ancora, gli indiani si sono incartati: quando la Corte di Nuova Delhi ha preso in mano le indagini si è accorta che c’era qualcosa che non girava in come erano state portate avanti fino ad allora.

Le reazioni indiane sono state dure, appellandosi alla parola data e tradita dagli italiani. Come ne esce la nostra diplomazia in termini di credibilità internazionale?
Noi siamo usciti male per il fatto che il nostro Stato non è stato in grado di impedire ad un altro Stato di tenere prigionieri due suoi militari in servizio attivo. La nostra credibilità è andata a fondo lì: una delle cose assurde è pensare che l’India si sia sempre rifiutata di riconoscere l’immunità funzionale, cioè che quei due militari, se anche avessero compiuto qualcosa, non erano imputabili personalmente perché erano in servizio. È vero, ora abbiamo avuto un successo con l’inganno, ma è anche vero che l’India stessa ha fatto entrare la nave Enrica Lexie nei suoi porti con l’inganno: non dimentichiamoci che sono gli indiani stessi a confermare che l’incidente è avvenuto a 20,5 miglia dalla costa, nelle acque non più territoriali, ma contigue, dove lo Stato rivierasco può far valere le sue leggi doganali e le sue leggi per l’immigrazione.

Per Natale i marò tornarono in Italia e poi furono fatti ripartire. Cosa è cambiato da allora? Non è stata controproducente in termini di riconoscimento della sovranità la mossa fatta allora?
Sul piano concreto il discorso non fa una grinza. Però se ci andiamo a rileggere i comunicati e le dichiarazioni di Terzi e di Staffan De Mistura di quel momento, troviamo che c’era molto nervosismo per i continui ritardi della Corte Suprema nel decidere, ma c’era anche tanto ottimismo che questa, una volta presa in mano la faccenda, non avrebbe avuto problemi a riconoscere che il caso non spettava agli indiani. Con questo approccio fiducioso furono rimandati in India, sperando che a breve fossero rimandati indietro: invece la decisione presa è stata impensabile, con questo tribunale speciale, e questo ha fatto arrabbiare tutti, anche il governo Monti che si era sempre mostrato un po’ “calabraghista” nei confronti dell’India, cioè ci si muoveva con molta prudenza per evitare di rovinare i rapporti.

Quali sviluppi futuri ci possiamo aspettare?
È difficile dirlo: la Procura italiana non credo aprirà un processo contro i due marò, che quando erano qui in licenza a Natale andarono spontaneamente a raccontare la loro versione. Che rimane la solita: non hanno sparato al Saint Anthony, ma in acqua, a prua di un peschereccio diverso, tesi per altro confermata da tutto l’equipaggio dell’Enrica Lexie. Infatti il ministro Giampaolo Di Paola ieri ha detto che i due militari torneranno al lavoro. Per quanto riguarda i rapporti con l’India, è difficile capire cosa accadrà: è uno Stato suscettibile, con un nazionalismo molto acceso, ci sono tante polemiche interne… Credo che però alla fine si farà un gran polverone che si smonterà in breve tempo, anche perché non è interesse di nessuno dei due paesi tenere aperto un contenzioso così lungo per una vicenda così piccola. Aggiungo una cosa: l’aspetto grave di tutta la vicenda riguarda il simbolo, cioè che due militari italiani, in armi per conto dello Stato, sono stati lasciati un anno in un paese straniero che per nessun titolo li poteva arrestare. Il rischio è che tutto ciò demotivi chi fa questo mestiere.

@LeleMichela

Tags: Gianandrea GaianiindiamaròMassimiliano Latorreprocura di RomaSalvatore Gironeterzi
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