Mai sottovalutare Berlusconi. La lezione del Monza promosso in Serie A
Regola numero 1. Mai sottovalutare il Berlusca. Quando fece arrivare i giocatori del Milan con gli elicotteri sul prato dell’Arena al primo raduno da presidente (ma lo vedete il destino che s’annoda? Dall’Arena Napoleonica di Milano a quella Garibaldi-Anconetani di Pisa) con la colonna sonora della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, quasi tutti fecero della facile ironia. E che, si crede il colonnello William Kilgore in Apocalipse Now? Silvio Berlusconi non disse: «Mi piace l’odore del napalm di primo mattino». Però anche allora pose come obbiettivo: scudetto, Coppa dei Campioni e un club che prendesse un posto di rilievo nel calcio internazionale. C’è riuscito, eccome.
Il Monza di oggi non è il Milan di allora, però…
Lo stesso ha promesso portando, per la prima volta nella storia, il Monza in Serie A. Certo, il Monza 1912 non è il Milan 1899, anche quello disastrato, che Berlusconi acquistò nel 1986. I rossoneri venivano da anni di saliscendi, con due retrocessioni in serie B («una a pagamento, una gratis» diceva il perfido Peppino Prisco). Insomma non stava messo bene. Però era pur sempre una delle tre società più importanti del football nostrano. Il sodale Adriano Galliani snocciola, ogni volta che può, i trofei vinti da allora. Il dettaglio chiedetelo a lui. Bastino, qui, le cinque Coppe dei Campioni (da aggiungere alle due già in bacheca), quanto Inter (3) e Juventus (2) messe insieme.
Tra Valchirie e la scelta di un allenatore che non aveva mai visto la serie A, Arrigo Sacchi, gli diedero tutti del pazzo. Invece ha costruito un club da leggenda. Certo, l’idea di essere il miglior tecnico su piazza, ogni tanto lo portava a sbandare. Come quando voleva a tutti i costi l’argentino Borghi ma Sacchi, per fortuna del Milan, si impuntò per Rijkaard. Però il Berlusca quando annuncia una “mission” non va mai preso con sufficienza, dalla tv al calcio alla politica. Aveva promesso la Serie A a Monza ed eccola qui, dopo tre anni (lui e il sodale Adriano arrivarono a gennaio 2019).
Berlusconi ne sa di calcio, anche se dorme in tribuna
Il Berlusca sa di calcio, ragazzi. Certo, ora ogni tanto s’appisola in tribuna, ma non è il solo, capita anche a me davanti alla mediocrità diffusa nel calcio italiano. In questi tre anni e spiccioli ha speso 70 milioni, del resto per vincere devi spendere. Bene, ma devi spendere. Non la raccolta delle figurine, come al Psg, ma per competere a un livello più alto occorrono investimenti.
Ecco questa è la prima incognita. Quando prese il Milan diede il via a un mercato aggressivo per erodere il monopolio juventino. Tutti andavano alla Juventus perché la Juventus vinceva, ma non era il club più “generoso”. Berlusconi strappò subito, a colpi di milioni, Donadoni ai bianconeri. L’Avvocato lo definì, con sarcasmo, «il calmieratore del mercato». Ma quella di Gianni Agnelli era invidia, aveva capito che con Berlusconi era arrivato un rivale vero che andava a prendere i giocatori in elicottero (come fece con il granata Lentini) e pagava stipendi adeguati.
Per stargli dietro cominciarono le follie degli anni Novanta in cui il calcio italiano ha dilapidato il vantaggio che aveva su tutti gli altri. Ma questa è un’altra storia. Quello che voglio dire è che un conto è costruire una squadra che salga dalla B alla A, un altro è alzare ulteriormente il livello. Gli esempi virtuosi ci sono, in provincia, dall’Atalanta al Sassuolo. Però bisogna sbagliare poco, molto poco.
La seconda incognita riguarda la durata. Lunga vita a Berlusconi e al suo carisma, il motore è sempre e solo lui. Al netto di tutto, comunque, fate male a sogghignare quando Silvio nostro proclama come obbiettivi «scudetto e Champions». Fate molto male. Silvio c’è. Ancora una volta.
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