“Il sorriso della libertà” è il titolo della mostra su Tommaso Moro, protettore dei politici e dei governanti, che, inaugurata ad inizio settimana da Mario Monti nelle aule della Camera, sosterà dal 24 al 31 ottobre in quel di vicolo Valdina a Roma, prima di iniziare a girare per il paese. «Tommaso Moro è stato politico e uomo di fede, protettore dei governanti e dei politici», spiega a tempi.it Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, alla guida della fondazione Costruiamo il futuro che promuove l’evento. «La strada che indica – prosegue – è quella di una politica che non può far altro che essere anzitutto dettata da giudizi ideali, che diano un senso e un significato al perché si fa politica e la si traduce in azione di governo».
Che segnale si vuol dare portando una mostra di questo tipo nelle aule del Parlamento?
Viviamo un momento in cui la distanza tra la politica e i cittadini è enorme. Per recuperare il gap, più che le parole, occorrono dei testimoni cui poter guardare, che possano segnare una strada anzitutto non per riconquistare la fiducia dei cittadini, ma per tornare a comprendere il senso e il significato della politica. Tra l’altro ci mette sotto gli occhi il tema della moralità e della corruzione, quello delle dimissioni e del silenzio. Moro stesso è stato decapitato per i silenzi, non per le parole.
Quella tra fede e politica è una dicotomia spesso oggetto di aspri confronti.
Il rapporto tra fede e politica nella figura di Moro non è un fattore di distanza, ma di unione. La fede non detta prescrizioni, ma il giudizio ideale che muove l’uomo. Qualsiasi democrazia, ci insegna il santo, non ha bisogno solo del consenso popolare, ma si fonda sulla passione, i valori, il senso ideale in cui un popolo si ritrova e si riconosce.
Moro insisteva molto sul tema dell’amicizia, oggi un disvalore se applicato ai rapporti tra politici.
Se la politica non perde la sua ragione d’essere, che non deve essere mai l’acquisizione del potere, ma è servire il bene comune, mettersi a disposizione della propria comunità per valorizzare la libertà e la responsabilità delle singole persone, allora diventa piena corresponsabilità. E in quanto tale ha bisogno di rapporti umani che aiutino a vincere questa sfida. E allo stesso tempo ha bisogno di interloquire, di riconoscere le diversità e l’alterità. L’altro cessa di essere il nemico e diventa un avversario, colui che ha una storia diversa dalla tua ma che condivide il medesimo scopo di attenzione alla collettività. Il paradosso della politica è che alla fine diventa distribuzione delle responsabilità. Pensare che uno possa essere amico di un altro che potenzialmente può togliergli un posto o diventa un disvalore, o è una corresponsabilità nel costruire qualcosa insieme.
Una costruzione macchiata in questi ultimi mesi da numerosi episodi di corruzione, o presunti tali.
Occorre comprendere che non c’è nessuna legge e nessun regolamento che può ostacolare la libertà dell’uomo. È evidente che occorre legiferare affinché la corruzione sia arginata, gli errori combattuti e le persone che si macchiano di errori cacciate, ma non ci si può sostituire alla libertà. Nessuno può impedirmi di essere un cattivo politico o di usare male i soldi che mi vengono dati per gestire la cosa pubblica. La prima sfida della politica è rispondere all’emergenza educativa nella quale si ritrova. La seconda è che nella traduzione delle idee nell’azione bisogna tenere presente cosa si intende quando si parla di bene comune. In gioco c’è il destino di una comunità, la pace sociale.
Da dove si riparte?
Pensiamo ai temi della famiglia, dello sviluppo, dei giovani, delle piccole e medie imprese: li dobbiamo far diventare centrali per far ripartire il paese. Qui si gioca la partita per il futuro, e in questo la legge di stabilità può essere una grande occasione in questo senso.