

Nel caso in cui Geir Haarde venga ritenuto colpevole, sarà il primo presidente a pagare personalmente gli effetti della crisi economica globale. Il casus belli risale a tre anni fa, appena prima che la coalizione di governo facesse rassegnare le dimissioni al primo ministro conservatore in favore della socialdemocratica omosessuale Johanna Sigurdardottir. Nell’arco di alcune settimane le tre banche principali dell’isola – la Kaupthing, la Glitnir e la Landsbanki – dichiararono bancarotta, avendo un debito complessivo pari a cinque volte il Pil dell’isola. La Landsbanki, in particolare, preferì risarcire i contribuenti locali a scapito di quelli inglesi e danesi. Questo provocò l’ira del primo ministro Gordon Brown e una serie di pesanti controversie diplomatiche. Ma un referendum popolare, all’indomani della caduta di Haarde, decise al 96% di non coprire i debiti stranieri.
Dal 1988 al 2006 l’Islanda ha vissuto un periodo di veloce fioritura sotto il governo conservatore. Negli ultimi anni, però, la trasformazione da un’economia tradizionale basata sulla pesca a una incentrata sui servizi finanziari, ha reso l’isola vulnerabile alla crisi economica. La colpa di Haarde starebbe nell’aver ignorato gli avvertimenti ricevuti in prossimità del tracollo dai principali istituti di credito islandese. Nel settembre 2010 una commissione di esperti indicò quattro uomini politici come responsabili del collasso islandese ma il parlamento dell’isola decise che l’unico a rispondere davanti all’autorità sarebbe stato Haarde. Una sorta di“personalizzerebbe” della crisi globale forse nel disperato tentativo di trovare un singolo caprio espiatorio.
Twitter: @DanieleCiacci
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