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La vita di Giulia, morta a piedi nudi «per sentire le nuvole del Paradiso»

Morta a 14 anni nell'agosto del 2011, Giulia Gabrieli, ha scritto un libro in cui racconta la bellezza di una vita esplosa mentre lottava contro il tumore.

Benedetta Frigerio
17/11/2012 - 9:54
Società
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«No, no. Io non credo più nelle coincidenze. Nulla accade per caso. Io credo nei segni». Questa la fede cristallina di una ragazzina morta di tumore il 19 agosto 2011 all’età di 14 anni, dopo due passati a lottare contro la malattia. Una fede, quella della piccola bergamasca Giulia Gabrieli, esplosa in brevissimo tempo, fino al punto da lasciare segni di speranza nella vita di centinaia di persone perché, scriveva, «queste situazioni aiutano a capire molte cose della vita (…) io ringrazio il Signore di avermi donato, attraverso la malattia che è ritornata, una seconda chance per capire quanto mi vuole bene».

«DOV’E’ DIO?». La storia della malattia di Giulia non è cominciata così, ma nella ribellione. È lei stessa a descriverla con una semplicità disarmante nel libro pubblicato di recente, Un gancio in mezzo al cielo (edizioni Paoline, 124 pagine, 12 euro). Giulia si ammala nell’estate del 2009. La diagnosi viene fatta in seguito al gonfiore di una mano. Seguono le terapie. La ragazzina sta malissimo e il suo umore è altalenante per via dei farmaci. Infatti scrive: «Ho passato dei momenti molto duri (…) ero arrivata ad un momento cruciale: ero nervosissima, mi tremava tutto il corpo, piangevo tutto il giorno». Fino al dubbio sulla bontà di Dio: «Lui che dice che posso pregare, può fare grandi miracoli, può alleviare tutti i dolori, perché non me li leva? Dov’è? Perché sta a guardare?».
Davanti al tentennamento sono i genitori di Giulia e il suo amico prete ad assicurarle che il Signore la sta tenendo in braccio, anche se a lei non sembra. La piccola non si sente così, ma continua a chiedere a Dio di mostrarsi.
Nulla sembra cambiare, finché Giulia non finisce per un contrattempo nella Basilica di Sant Antonio a Padova. Lì, mentre tiene la mano appoggiata sulla tomba del santo, una sconosciuta mette la mano sopra la sua che in quel momento è sgonfia e non appare malata. «Non mi ha detto niente – scrive Giulia – ma aveva un’espressione sul volto, come mi volesse comunicare: “Forza, vai, avanti, ce la fai, Dio è con te”». La piccola, entrata in lacrime, esce dalla basilica radiosa.
Da quel momento, il Dio che pensava lontano dalla vita comincia a farsi presente tramite volti, avvenimenti e cose. Tanto che poi descriverà così anche il suo momento più buio: «Ero talmente disturbata dal dolore che non riuscivo a sentirlo vicino, ma in realtà penso che lui mi stesse stringendo fortissimo. Quasi non ce la faceva più!». Perciò, scrive ancora ai suoi lettori, «rivolgiti al Signore, che qualcosa migliora. Non con la bacchetta magica, però pian piano il Signore migliora tutto». È questa la strada che Giulia risceglie in ogni momento e in cui ingaggia diverse battaglie. Oltre a quella contro il tumore c’è quella per i bambini del suo reparto: chiederà al vescovo, Francesco Beschi, un sostegno spirituale all’interno della pediatria dell’Ospedale Riuniti di Bergamo dove è ricoverata. Poi insegnerà ai medici a riavvicinarsi ai pazienti senza paura, formerà un gruppo di preghiera, girerà per testimoniare ai giovani la bellezza della vita. Fino a scrivere il libro della sua storia.

IL SOFFIO DI MARIA E “SUPEREROI”. Tutto inizia con un fatto che spiega a Giulia il perché di quella malattia: prima di ammalarsi la ragazzina riceve la Cresima, restando colpita dall’omelia in cui si dice che quel sacramento è un dono dello Spirito per testimoniare Cristo. Scrive: «Davvero non capivo cosa potevo fare io (…) E, lì a due mesi, si è presentata la malattia. Ecco io la malattia la sto vivendo come un impegno da cresimanda».
Giulia, poi, racconta altri due episodi decisivi oltre a quello nella Basilica di Sant’Antonio. Il primo è l’incontro con la beata Chiara Luce, «la ragazza che davanti a un gradino non si è fermata, ha invocato l’aiuto del Signore, si è abbandonata a Lui, alla sua volontà, al suo amore». Come lei, anche Giulia parla del suo rapporto con il Dio come di una bimba con il padre: «Lungo la strada i due possono essersi detti tante cose, sia belle sia brutte, ma un padre, quando suo figlio gli chiede aiuto, è sempre disposto a tendergli la mano per aiutarlo. Ecco io sono quel bambino, ingenua di fronte all’onnipotenza di Dio».
A cambiarla e sostenerla sono anche i due viaggi a Medjugorje, dove «per spiegare cosa avviene, mi sono inventata questa immagine: la Madonna a Medjugorje è come se continuasse a soffiare in un palloncino… così l’amore va dappertutto e va a colmare ogni piccola mancanza del nostro cuore». Un’esperienza che cresce a tal punto da rendere Giulia capace, al riemergere della malattia che sembrava sconfitta, di sostenere i suoi genitori e i medici. A loro dirà di non avere paura e che è pronta a combattere insieme. Ed è proprio con i medici che Giulia fa un lavoro importantissimo quasi senza accorgersene. Nell’aiuto dei medici Giulia vede quello di Dio, li chiama i miei “supereroi” e fa capire che da loro non pretende la guarigione, ma cura e compagnia.
Nel libro Giulia spiega anche come i parenti devono stare vicino ai malati, senza censurare la verità. Dalle pagine emergono la sua allegria e il modo di sdrammatizzare in cui molti bambini malati trovano conforto. A colpire il reparto, e il crescente numero di persone che le si fanno intorno, è soprattutto la normalità con cui Giulia vive la sua giovinezza. Amante dello shopping, della musica e degli amici, come una normale tredicenne. Questi i dettagli che la malattia le fa gustare sempre di più, tanto da far crescere in lei lo struggimento per il nichilismo dei giovani che incontra. Perciò insegnerà ai suoi amici a pregare per «cercare di avvicinare i ragazzi al Signore (…) perché è la prima cosa, è dalla preghiera che nasce tutto». E andrà a parlare davanti a folle di giovani per dire il bello della vita.
Infine, circa due mesi prima di morire, sosterrà brillantemente anche l’esame di terza media. La ragazza chiede fino all’ultimo la guarigione per realizzare tutti i progetti che ha nel cuore, ma nello stesso tempo scrive: «Certo, mi piacerebbe vivere una vita lunga (…) però io la morte la vedo come una bella cosa (…) so che dopo la morte c’è il Signore, ritorno da Lui». Cose che Giulia può dire perché ne fa già esperienza in vita: «Lui è tanto buono, mi prende tra le sue braccia. C’è la Madonnina… non vedo l’ora di dirgli grazie per tutto quello che fanno per me».

LE NUVOLE DEL PARADISO. Infine, con la stessa semplicità con cui narra la sua vicenda, tanto da rendere il libro comprensibile a un bambino di qualsiasi età, Giulia dirà: «Io il Paradiso me lo immagino come: avete presente l’era glaciale?». Perciò si farà seppellire con una veste bianca e con i piedi nudi, perché «ci sono tutte queste nuvole rosa, questo mega cancello dorato… e tu, a piedi nudi apri il cancello… Oh è bellissimo».

@frigeriobenedet

Tags: paradisosperanzatumore
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