La Pasqua non è una favola. «Nessuno ha visto la Resurrezione, molti hanno visto il Risorto»

Di Massimo Camisasca
02 Aprile 2013
«Come nessuno può negare la realtà di una vita nuova che cresce nel grembo di una madre, allo stesso modo la nostra fede non si fonda su invenzioni, ma sul fatto storico di Gesù risorto.

In occasione della Pasqua, il vescovo Massimo Camisasca ha pubblicato sul sito della diocesi Reggio Emilia Guastalla, un augurio che di seguito riproduciamo

Pasqua, ragione di gioia   

Anche se ritorna ogni anno nella celebrazione della Chiesa e ogni domenica nella liturgia eucaristica, la Pasqua non è la commemorazione di un evento passato, ma è un avvenimento presente.

Le parole dell’angelo attestate dagli evangelisti Matteo (28, 6), Marco (16, 6) e Luca (24, 6) sono chiare: non è qui, nel sepolcro; è risorto, come aveva preannunciato. Egli non è più tra noi secondo le modalità di prima, ma è ancora in vita, in una vita nuova non meno reale di quella precedente. Certo, non fu immediato per le donne, le prime accorse al sepolcro, credere all’annuncio. L’angelo parlava, ma in esse rimaneva la paura che nasceva dall’impressione della solitudine e della sconfitta; erano piene di timore per quello che poteva succedere: capivano che attorno alla straordinaria presenza di Gesù non si sarebbe mai cancellata la possibilità del martirio e della lotta. Gesù in persona appare loro e così inizia in loro il cammino verso una fede sempre più chiara e convinta. Diventano le prime testimoni, addirittura presso gli Apostoli. Pietro e Giovanni corrono al sepolcro (cfr. Gv 20, 3-8), ma avranno anche loro bisogno di vedere Gesù risorto, e più volte, per credere.

Nessuno ha visto la Resurrezione, molti hanno visto il Risorto. La nostra fede si fonda quindi non sulla testimonianza di visionari, ma su persone che, pur non portate naturalmente a credere, alla fine hanno creduto perché hanno visto Gesù risorto, hanno fatto esperienza della sua compagnia, della sua voce, della sua parola, del suo sguardo pieno di misericordia, di perdono, di incitamento a continuare quanto avevano cominciato con lui.

Come nessuno può negare la realtà di una vita nuova che cresce nel grembo di una madre solo perché non ha visto l’attimo dell’incontro tra l’ovulo e il seme che hanno dato origine alla nuova vita, allo stesso modo la nostra fede non si fonda su favole, su visioni, né tanto meno su invenzioni: si fonda sul fatto storico di Gesù risorto. È importante riaffermare e riscoprire la bellezza e la verità di questo fondamento storico, oggi che uomini di cultura potenti nella strumentalizzazione delle coscienze sono impegnati a negarlo. Perché lo fanno? La ragione l’aveva già detta Gesù: «Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me» (Gv 15, 18). Ciò che i potenti del mondo oggi non possono tollerare è ciò che ha portato Gesù ad essere condannato a morte: non possono accettare che Dio sia diventato uomo. Dio è una misura che non può essere compresa dal nostro piccolo cuore di uomini. Egli, con la morte e resurrezione di suo Figlio, Dio fatto uomo, ha portato nella storia dell’uomo una visione delle cose, più ancora un’energia di vita, che non viene dai poteri dell’uomo. Per questo i poteri del mondo sono contro di lui e contro la Chiesa.

Mai ci sono stati tanti martiri come nel nostro secolo. Ma tutto questo non deve suonare come un lamento, perché la Pasqua è per noi solo ragione di gioia: la gioia che nasce dalla certezza che la morte è vinta, che il peccato è vinto, che possiamo essere liberati dalle schiavitù più gravi che attanagliano la vita dell’uomo. Certo, la battaglia è ancora in corso, come testimoniano le guerre, le violenze, le follie innumerevoli attraverso cui si manifesta il potere del demonio, ma noi siamo certi che la vittoria appartiene all’Agnello e a coloro che si sottomettono alla sua dolce potestà. Non siamo più sotto il dominio della legge, perché da essa ci ha liberato la morte e la resurrezione di Gesù che, donandoci la sua stessa vita, ci ha resi capaci di amare, perdonare e ricominciare sempre (cfr. Gal 5, 1-23).

(tratto da: Massimo Camisasca, Il tempo che non muore, Edizioni San Paolo 2001)

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